Giovani disperati

Data: 01/06/07

Rivista: giugno 2007

Il caso del ragazzo di Torino, suicidatosi per via delle continue prese in giro circa la sua presunta omosessualità, porta nuovamente in superficie il tema del suicidio fra i giovani.

È un qualcosa che spiazza, come un’alba che non accetta di divenire giorno.

Spesso non ci si rende conto della solitudine nella quale vivono molti ragazzi che, pur stando insieme ai propri compagni, ai propri amici, o comunque con persone della propria età, vivono una vita parallela, un mondo chiuso entro i confini del proprio corpo e della propria mente (come nell’articolo in prima pagina). Si, perché è impossibile spiegare il suicidio con una definizione generale che possa andare bene per tutti i casi.

Ogni suicidio è profondamente diverso da un altro, per cause, modo, sofferenza sopportata e così via.

Questa nostra società, che sembra prestare attenzione agli adolescenti, si rivela molte volte incapace di dare certezze e speranze a chi si trova in difficoltà.

Non è un’accusa a nessuno in particolare, ma un ragionamento su tutti noi, nessuno escluso, in generale.

Da chi è costituita la società? Da noi. E chi siamo “noi”?

Siamo madri stanche di lavorare per una macchina nuova, siamo padri incapaci di comunicare con i nostri figli, siamo fratelli che studiano lontano, sorelle che non accettano di arrivare seconde o che non sono mai state prime. Siamo genitori troppo presenti, oppure troppo assenti, o anche, magari, troppo perfetti. Siamo famiglie troppo normali o troppo originali.

Siamo coppie che provano a capire i figli attraverso la musica, i vestiti, il trucco, i piercing, i capelli colorati, i disegni, i voti a scuola, i compagni di classe, gli amici di sempre, il giudizio dei professori, il confronto con altri genitori, i rapporti interpersonali, i locali frequentati, i fidanzati, le fidanzate, i diari, le lettere, le lacrime, i sorrisi, i discorsi fatti di mezze verità e mezze bugie…

Siamo umani.

Cosa voglio dire con questo? Che i ragazzi si uccidono perché hanno una famiglia composta di una madre che lavora perché uno stipendio non basta più, un padre che non sa parlare ma sa dimostrare, un fratello che si sta laureando in un’altra città e una sorella esuberante oppure insicura?

No, certo che no.

Voglio solo dire che, spesso, cerchiamo le “colpe” (ammesso che si chiamino “colpe” ed esistano veramente) laddove non ci sono.

Pensiamo che la musica dei Nirvana possa spingere a spararsi come fece Kurt Cobain, leader del celebre gruppo.

Pensiamo che gli occhi truccati di scuro e i vestiti che ricordano tuniche possano spingere la gente a partecipare a sette sataniche.

Pensiamo che alle feste dove vanno i nostri figli giri molta droga, il sesso sia fatto con la leggerezza colla quale si beve un bicchiere di vino e così via.

Già. Noi PENSIAMO.

Ma poche volte CHIEDIAMO. PARLIAMO.

O, meglio, saltiamo alle conclusioni, e puntiamo il dito: così loro ci mostrano il dito medio e si chiudono in camera.

Forse dovremmo partire da lì, da quel momento: da quella porta che si chiude e da quella musica tanto alta che ci fa tremendamente arrabbiare mentre guardiamo il telegiornale o fumiamo una sigaretta per farcela passare.

Il punto,secondo me, è proprio questo: quando si arriva a questo punto non dobbiamo cercare di “farcela passare”, ma cercare di “farcela rimanere”, così può darsi che, una volta o l’altra, riusciremo ad aprire quella porta blindata, oltre la cui soglia si cela un universo fatto di molto, molto di più che droga – sesso – vestiti – trucco – tacchi – pantaloni larghi.

È vero: la mia generazione, definita, a volte, come generazione senza vento, spesso “si crea” dei problemi che vanno al di là di ciò che riguarda il sopravvivere (cibo, abitazione, istruzione,..): spesso ci si pone (magari egoisticamente) il problema del vivere. Del come vivere. Del fatto che ce la facciamo o meno a vivere. E, nel caso riteniamo di farcela, il mondo sembra troppo vero, duro, violento o troppo di plastica, finto, puffesco.

Penso che, comunque, non sia impossibile penetrare in questo mondo nascosto, in questa vita che scorre su un binario parallelo, ma incredibilmente distante e differente da quello che, per via di un qualche desiderio di affermazione sociale, presentiamo sul palcoscenico della vita.

Questo articolo non vuole essere una condanna per quei genitori che, non avendo avuto possibilità, cercano di DARE ai figli tutto il possibile (e l’impossibile, anche). Non voglio condannare chi fa fatica ad entrare in comunicazione con i propri figli.

E non voglio nemmeno suggerire una via assoluta e perfetta che, se percorsa, salverà sicuramente tutti i nostri ragazzi dal salto nel buio.

Dico soltanto che spesso si tende a delegare alla scuola ed agli specialisti la relazione con i ragazzi in un momento di difficoltà.

Con questo non intendo assolutamente ferire le famiglie che hanno avuto un figlio suicida: sia chiaro il rispetto più totale.

Sto solo cercando di dire che, se finalmente riuscissimo a DIRE più che a DARE, allora qualcosa potrebbe cambiare.

Ma è una speranza, non un’aspettativa.

È un tema che ha fatto e fa discutere, che ha diviso e fa dividere (e continuerà a far dividere) grandi nomi della psicologia e della psichiatria, illustri sociologi, associazioni di genitori e via dicendo.

Ebbene, noi di Prodigio non siamo psicologi e così, avvertendo la necessità di portare alla vostra attenzione la condizione giovanile, abbiamo deciso di far parlare proprio loro, i giovani.

In strada, alla stazione, fuori dalle scuole, nei pub, abbiamo chiesto loro che cosa li spaventa di più guardando al futuro, e quale è, invece, il loro sogno nel cassetto. Chissà, magari potreste scoprire che quella ragazza con i capelli verdi e quel ragazzo dai grandi sogni non sono poi così differenti da voi, quando avevate la loro età.

Centinaia le interviste raccolte, pubblichiamo quelle che ci sono sembrate più interessanti.

Che cosa ti spaventa di più guardando avanti nel futuro?

Mi chiedo spesso dove ci porteranno tutte queste guerre. (Micaela, 25 anni)

Secondo me la cosa più terribile per il futuro è questo grande dilagare della destra. (Giulio, 17 anni)

Ho paura di perdere gli amici che ci sono adesso… insomma, di cambiare troppo! (Sara, 17 anni)

La mia più grande paura è la morte. (Adriana, 19 anni)

Mi spaventa il futuro in generale. (Filippo, 15 anni)

Ho paura di non avere abbastanza soldi e un buon lavoro. (Mattia, 15 anni)

Non vorrei mai deludere le aspettative dei miei genitori, sperano che mi trovi un buon lavoro, visto che mi mandano a scuola! (Martino, 15 anni)

Le malattie. (Fulvia, 25 anni)

Non trovare lavoro. (Wanna, 20 anni)

Mi spaventa la solitudine. (Lara, 19 anni)

Spero di non perdere mai qualcuno che amo, a volte sembra quasi un presentimento. (Jessica, 19 anni)

Per me sarebbe terribile se non riuscissi a sentirmi realizzata sul lavoro e nella famiglia. (Laura, 20 anni)

Sinceramente non ci ho mai pensato. (Eva, 21 anni)

Quale è il tuo sogno nel cassetto?

Fare l’università. (Angela, 16 anni)

Avere un bambino. (Giulia, 23 anni)

Sposarmi. (Anna, 14 anni)

Guadagnarmi il pane. (Sandro, 16 anni)

Vincere al superenalotto! (Chiara, 20 anni)

Voglio viaggiare tutta la vita. (Antonio, 17 anni)

Sogno di essere ammessa ad infermieristica. (Valentina, 18 anni)

E, per finire con una nota di tenerezza, ecco i sogni e le paure di una giovanissima coppia (lei 15 lui 17), forse un primo amore:

Abbiamo paura di cambiare, di arrivare a non amarci più. Non vorremmo mai svegliarci una mattina e scoprire di essere due persone diverse. Ma abbiamo un sogno: girare il mondo in autostop. (Francesco e Martina)

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