GIOVANNI BATTISTA SIMONE DALL’ARMI

Il primo “Istituto per Sordi” di Trento venne aperto nel 1842 per volontà del Principe Vescovo Giovanni Nepomuceno de Tschiderer. A ispirarne la fondazione fu il giovane don Giovanni Battista Simone Dall’Armi, poi monsignore e arciprete emerito di Arco.

Nato il 4 maggio 1811 a Trento da una famiglia di farmacisti, monsignor Dall’Armi seguì nella vocazione sacerdotale il fratello primogenito Felice Vicenzo, cancelliere dell’Ordinariato. Formatosi alla scuola del Beato Stefano Bellesini, entrò in seminario nel 1832/33, avendo come maestro spirituale il vescovo Francesco Luschin e fu definito di «ottimi costumi». Divenne diacono il 15 dicembre 1833 e sei giorni dopo venne ordinato sacerdote con P.P. (patrimonio proprio).

Il suo primo incarico fu come cappellano alla parrocchia di Terlago. Proprio lì conobbe una famiglia umile, i Tabarelli, con un figlio sordomuto di nome Virgilio e li fece trasferire nell’ufficio del Decano del Capitolo della Cattedrale di Trento. Fu proprio lì che il principe vescovo Giovanni Nepomuceno de Tschiderer – durante una visita al decano monsignor Giambattista Trentini intorno all’anno 1840 – li conobbe e, appresa la condizione del ragazzo «ne fu preso da viva compassione». Lungo la strada verso la residenza episcopale, ne parlò ancora con Dall’Armi e – scoperto che egli aveva qualche cognizione sordomutica e aveva elaborato un metodo per comunicare con Virgilio, «lo esortò a prendersi cura del fanciullo e a istruirlo».

Dall’Armi non aspettava altro che questo invito. E presto, il rapporto che lo legava a Virgilio portò i suoi frutti. Ancora giovanissimo, infatti, il ragazzo divenne un ottimo pittore ritrattista, molto apprezzato negli ambienti religiosi trentini.

Lasciato Terlago, Dall’Armi si incaricò per quattro anni della gestione del neonato Istituto Diocesano per sordomuti.

Trasferito poi ad Arco, si accorse che il borgo – in cui sorgevano anche diversi palazzi signorili – per la stragrande maggioranza abitato da famiglie poverissime, dove il vagabondaggio giovanile e la misera imperversava sovrana. Fu così che l’arciprete prese contatti con le suore dell’Istituto del Lovere, cercò donazioni e si attivò per dar vita all’Istituto della Pia Casa della Provvidenza, aperto nel 1846, arrivando addirittura a comprare con il proprio patrimonio di famiglia la Casa Marcabruni in Stranforio per 1.568 fiorini e poi il giorno dopo quella a fianco per altri 3.032 fiorini. Sua precisa intenzione era quella di «accogliere tutti i fanciulli e le fanciulle poveri e bisognosi nonché abbandonati dell’archese, dando loro una casa famiglia che li potesse istruire e preparare a una vita indipendente secondo i principi cattolici».

Durante la sua Arcipretura, lunga ventitré anni, il Dall’Armi riuscì a fornire assistenza a quattrocento tredici bambini. Alcuni li ospitò ad Arco, altri invece li mandò a Trento, grazie alla collaborazione che aveva instaurato con monsignor Endrici.

Episodio cruciale che illustra l’importanza della sua opera e del suo disinteressato impegno accadde nel 1857. In quell’anno vi fu una recrudescenza delle gigantesche difficoltà in cui Arco si dibatteva. Alla malattia dei gelsi che comprometteva l’industria dei bachi da seta, si aggiunsero la malattia della vite e la siccità. Tra la gente imperversavano pellagra e vaiolo. Fu in questo quadro che Agostino Segatini, nativo di Trento, espulso dal comune di Mori per somma dei sussidi richiesti si presentò all’arciprete. Venditore ambulante senza licenza, con la moglie malata, un figlio piccolo e l’inverno alle porte. Anziché rifiutarli come “forestieri”, Dall’Armi procurò loro una licenza per vendere frutta e verdura e una casa, dove un anno dopo nacque Giovanni, il grande pittore che tanto lustro avrebbe portato ad Arco e a tutto il Trentino.

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