Gli handicappati non inquinano

Data: 01/02/02

Rivista: febbraio 2002

L’appuntamento per un’intervista personalizzata a Bertoli sul palco del Santa Chiara è per le 19. Entriamo, ci presentiamo ad un sorridente Bertoli che fa di tutto per metterci subito a nostro agio ma il rumore di fondo provocato dai musicisti che stanno accordando i loro strumenti, ci costringe subito a cambiare posto. Ci accomodiamo all’entrata, scherziamo un po’ e poi Rosy apre i microfoni: allora, Pierangelo, cosa ne pensa dell’iniziativa?

«È una cosa positiva il fatto che il popolo di Trento abbia risposto in un mondo così significativo. La sensibilizzazione della gente non manca mai: 5 minuti te li dedicano tutti, 5 minuti e poi basta però perché la gente ha i suoi problemi (i cazzetti suoi). La sensibilizzazione vera e propria è cominciata 20 – 30 anni fa quando gli handicappati sono entrati nelle scuole pubbliche. Prima venivano tenuti nascosti dai famigliari, quasi fosse una vergogna mentre oggi girano per la strada. È un fatto culturale dalle tante sfaccettature che ha a che fare anche con la Chiesa cattolica. Da ragazzo non ho avuto particolari problemi perché nella mia regione, l’Emilia Romagna, erano più aperti e i miei compagni di scuola mi accompagnavano in giro per tutta Italia… dovunque andassero mi portavano con se e senza di me non si muovevano.

Il fatto che si vedano persone con difficoltà in mezzo alla gente è positivo perché uno si accorge così che esistono gli alti e i bassi, i biondi e i bruni e anche gli handicappati, che questi non sono poi così diversi, che hanno l’unica sfortuna di non poter fare tutto quello che fanno gli altri. Quindi non più handicappati “untori”… non inquinano, non puzzano… In più oggi la tecnologia si è evoluta e permette anche ad un handicappato di recuperare una parte della sua indipendenza… guarda tu con quell’affare (indica il joystick della mia carrozzella) quanti spostamenti riesci a fare. So del direttore di un centro di ricerca che dirige tutto contando solo sulla mobilità di due dita. L’importante è il cervello, ci pensa la tecnologia a farti funzionare».

Ma di cosa hanno bisogno oggi gli handicappati? Tecnologia, sussidi, sensibilità?

«Scolarità soprattutto perché con quella fanno funzionare il cervello e se hai quello sei apposto. Ci sono altresì moltissimi handicappati mentali che si aggirano tra la gente e non lo sanno…»

Quale potrebbe essere una prospettiva?

«Girando per l’Italia ho visto che molto dipende dall’assessore di turno, voglio dire che l’applicazione delle leggi vigenti è subordinata all’impegno di chi ha il potere e la capacità di intervenire: c’è chi fa applicare la legge e chi no. Ci vorrebbe più determinazione nel farle rispettare [si tratta delle leggi contro le barrire architettoniche, ndr]».

Però Pierangelo, a Trento la situazione è sicuramente buona, e lo stesso si vedono per strada pochissimi handicappati.

«Certo che la situazione qui è migliore però tocca sempre poi al handicappato tirare fuori le palle… Ce ne sono di quelli che non escono ma questo a causa dei genitori. Bisogna vivere lo stesso una vita, viverla al 60%, ma viverla il più autonomamente possibile. Per me l’idea di essere autosufficiente anche quando sono da solo mi rende euforico. Troppo amore uccide come il troppo odio».

Cosa deve fare un handicappato per “tirare fuori le palle”?

«Io sono bello!»

Cosa…?

«Io sono bello… ho 60 anni e sono ancora bello! Voglio dire che deve credere in se stesso perché mettersi in un angolo e aspettare che piova, a volte può darsi che non piova. Muoversi in mezzo alla gente, darsi da fare significa scoprire le cose che hanno gli altri, provare le stesse emozioni. Il problema è sentirsi un essere umano e non sentirsi inferiore a nessuno. Tu puoi vivere la tua vita. Qui bisognerebbe entrare nel tema della sessualità degli handicappati: la gente è convinta che non la abbiano e basta, ma non è vero, ce l’hanno diversa, ma ce l’hanno». […]

C’è qualche relazione tra la tua musica e la tua situazione?

«No, non ce n’é. Ho cominciato ad interessarmi di handicap da quando faccio il cantante. I miei genitori non mi hanno mai considerato un handicappato e per mia madre sono sempre stato il più bello, il più intelligente e il più simpatico e lo diceva a tutti, ferendo credo i miei fratelli e le mie due sorelle. Da giovane ero uno che si inalberava in fretta, uno “incazzoso”. Non mi è mai pesato essere handicappato fino a 5 anni fa quando ho cominciato ad invecchiare e a perdere le forze. Prima ero più robusto e meno grasso e riuscivo a muovermi con maggiore indipendenza… mi bastava un appoggio qualsiasi cui aggrapparmi con le mani per realizzare le cose che pensavo. Anche con le donne ho avuto i miei successi… certo avrei voluto fare anche la mezz’ala destra ma non si può avere tutto dalla vita.»

Cosa è mancato alla tua vita?

«La cosa che mi è mancata di più è stato non realizzare le cose che avrei potuto fare se fossi stato come gli altri. Esempi: invitarti fuori a cena stasera senza sapere se nel locale avremmo trovato o meno delle scale. “Cagate” però mi sono mancate di più quelle cose lì che altre. Uno conosce le problematiche di un handicappato se ci vive vicino, se ne condivide almeno in parte la situazione.

Quando presentai a Milano la campagna televisiva (lo spot per la “Lega per l’emancipazione del handicappato” a cui Bertoli partecipò come attore e per il quale vinse il Telegatto di Tv Sorrisi e Canzoni, ndr) contro le barriere architettoniche ci furono vari discorsi e testimonianze. Ricordo di un’organizzazione che aveva messo a disposizioni del denaro per costruire degli appartamenti per handicappati affidando il progetto ad un architetto, secondo me davvero handicappato. Costui infatti progettò e poi costruì delle finestre così alte che un handicappato vero non poteva arrivarci. Se non ci vivi dentro non te ne rendi conto. È una situazione invivibile non solo per un handicappato, ma anche per un anziano o un bambino. Ad un imbecille che mi fa degli scalini in casa, io gli darei una coltellata nel cuore! Io credo che un ingegnere o un architetto dovrebbe girare qualche giorno su una sedia a rotelle per rendersi conto della realtà dei disabili perché oggi come oggi quando disegna non la conosce. Quando progettano stanze 2 metri per 3 provino loro a girarci dentro con la carrozzella! Quando disegnano bagni così piccoli che l’unica soluzione è pisciare fuori provino loro a centrare il WC!! La soluzione sarebbe andare in alberghi da 500 euro a notte e caffè a 5 dove hai tutto lo spazio che vuoi ma io avrei dovuto fare il killer di professione per guadagnare tutti quei soldi. Le cose vanno così perché non ci si pensa. Anni addietro andavo al Jolly di Milano e mi trovavo benissimo, però poi hanno ristrutturato, è intervenuto un architetto dalle misure corte, ed ho dovuto cambiare albergo perché lì ormai pisciavo fuori».

La chiacchierata ufficiale è finita ma ci intrattiene ancora parlando di mille cose, raccontandoci aneddoti ed episodi della sua vita privata e musicale, ci suggerisce di usare sempre grinta e di non considerarci perdenti in partenza. Poi viene chiamato ancora una volta con decisione sul palco per le prove degli strumenti e questa volta si accomiata davvero lasciandoci con un “dai che siamo forti!”. A presto Pierangelo!

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