Egregi Sig.ri Dott. Roger Hopfinger e Dott. Oscar Gagliardo (Trenitalia),
ieri sera a Bolzano, per prendere il treno 10947, ho assistito ad una scena da terzo mondo.
Voglio descrivervela, con la certezza che saprete cogliere almeno una parte della mia indignazione.
Siamo sul binario in attesa ed all’arrivo del treno l’addetto al carrello sollevamento disabili si affretta a posizionarlo davanti alle porte dell’ultimo vagone. Un gruppo di ciclisti deve scendere e protesta per l’occlusione del passaggio. L’addetto risponde piuttosto sgarbatamente, non suggerisce di scendere da un’altra porta, non chiede cortesemente di attendere qualche minuto, non sposta il carrello ma urla che “deve far salire un disabile”. I ciclisti, accecati dalla sgarbatezza dell’addetto, pretendono di scendere subito ed infilano le biciclette tra il vagone ed il carrello.
La scena si anima un po’, tutti hanno ragione: sia i ciclisti, che nel frattempo scendono con prosopopea, sia chi deve “far salire un disabile” e nessuno concede quella modestissima dose di pazienza che occorre per rendere le cose della vita più “fluide”.
Nel frattempo guardo il Sig. Paolo Simone, il “disabile” che sempre deve salire secondo i tempi di altri, che sempre deve limitare il suo viaggio alle sole poche stazioni munite di carrello elevatore, che sempre deve prenotare in anticipo il suo breve viaggio e che molto spesso ha viaggiato come viaggiano le biciclette, senza che nessuno sfidasse il mondo per farlo scendere per primo. Ecco, lui, mentre mezzo mondo urla che c’era un disabile e l’altro mezzo pretende il rispetto delle legittime precedenze, è lì in attesa, serafico e tollerante, forse abituato, forse lui sa che quanto accaduto sarebbe il meno.
Perché il bello viene adesso: il Sig. Simone si posiziona sul carrello e l’addetto comincia a girare una manovella con tutta la forza. Il carrello traballa vistosamente, l’addetto gira e gira ma il carrello sale a fatica. Vorrei aiutare, ma mi rendo conto che anche solo la forma e le dimensioni della manovella non permetterebbero un gran che. L’addetto rinuncia, non sa che fare, ci guardiamo tutti, il Sig. Simone è a mezz’aria, il treno è in partenza. Sopraggiunge un ferroviere, cerca di alzare il carrello traballante alzandolo dalle sponde con forza e gira e rigira finalmente si arriva abbastanza a livello treno. Il carrello traballante viene fatto girare su se stesso per permettere al “disabile” di accedere al vagone e viene sganciata la rampa: il passaggio dal carrello al vagone mi fa salire il cuore in gola perché la rampa di lamiera, divisa in due parti unite da cerniere, cede in maniera davvero inquietante al passaggio della carrozzina. Per un attimo temo che si spacchi sotto le ruote, vorrei volare istantaneamente a dare una spinta decisiva, per togliere la carrozzina da quel pericolo, ma non sono bionica. La carrozzina passa indenne, forse solo io ho notato quel dettaglio minaccioso ed allucinata salgo sul treno.
Paolo ha un sorriso traverso mentre io mi sento umiliata per lui e furiosa, tutto è stato troppo: una semplice operazione si è trasformata in una bieca odissea – abituale nella vita di Paolo – che mi ha fatto ricredere sulla mia irritazione quotidiana per le porte rotte, l’aria condizionata assassina, i ritardi, la sporcizia, i litigi dei turisti in bici e via di seguito. Ciò che sopporto io o ciò a cui assisto quotidianamente è nulla in confronto a queste sottili e pericolose umiliazioni che subisce Paolo, che ora stimo ancora di più per la forza che detiene nel non scoraggiarsi mai, mai mai e per l’energia che deve quotidianamente consumare per ottenere dalle persone ciò che per noi è sempre gratuito ed addirittura scontato.
Non desidero alcuna risposta da parte vostra, non servono parole, serve solo che qualcuno non passi la palla a qualcun altro, che qualche dirigente si occupi in prima persona delle problematiche che continuano ad essere declinate all’infinito, che qualcuno ragioni oltre le proprie competenze: noi cittadini siamo esausti delle vostre competenze ed io non rinuncerò a viaggiare in treno per non espormi continuamente a questi travagli, rinunciate voi, casomai, alle responsabilità oggettive che non sapete/volete affrontare.