Le migliorate condizioni alimentari e sanitarie registrate negli ultimi 100 anni nei paesi occidentali hanno portato la vita media dai 60 anni di inizio ‘900 ai 76 attuali tanto è che, oggi, gli over 80 non sono più l’eccezione bensì la regola.
Di questo allungamento ne siamo tutti lieti ma esso, come tutte le medaglie, ha il suo rovescio.
La vecchiaia porta con sé numerose patologie invalidanti che magari compaiono lentamente ma che finiscono per annullare l’autosufficienza dell’anziano: un destino quasi fatale per chi raggiunge età molto avanzate.
In Italia le persone anziane in varia misura bisognose di assistenza sono milioni e oltretutto non ci sono solo vecchi da accudire. Accanto a loro anche invalidi, disabili, persone con gravi malattie ed altri soggetti incapaci di badare a se stessi, una cifra prossima a 10 milioni: è evidente dai numeri l’impossibilità per lo Stato di garantire a tutte un’adeguata assistenza. Si pensi qui a Trento alle difficoltà di portar avanti la corretta gestione di una casa di riposo e le relative ispezioni avviate dall’assessorato alla sanità, le accuse e le contraccuse.
Ma allora chi si prende l’impegno di farlo? Risposta semplice: i familiari per primi seguiti dai parenti, amici e vicini di casa e da collaboratori a pagamento, nell’insieme definiti “caregiver”, termine inglese traducibile con “quelli che si prendono cura”.
Si impegnano un po’ in tutto: visitano tre volte al giorno la mamma che soffre di arteriosclerosi, fanno la spesa per il vicino malandato, accompagnano un anziano in carrozzina a fare un giro per città, passano due ore in casa di una vecchietta sola…
C’è chi lo fa sotto la spinta di circostanze personali, chi sente il bisogno di fare qualcosa per il prossimo, chi per battere la propria solitudine o semplicemente per denaro.
Oggi in Italia stando a dati del rapporto annuale Istat presentato a inizio ottobre sono ben 13 milioni i caregiver, in maggioranza di donne sopra la cinquantina: se per un qualche motivo sparissero d’incanto, i servizi di assistenza pubblica non saprebbero certo come sostituirle.
Quanto al “chi” riceve l’aiuto del caregiver, sono gli anziani ad averne più bisogno: dai dati emerge che oltre il 60% delle famiglie con un ultra 65enne necessitano dell’aiuto di un prestatore di cura. Ci sono poi gli affetti da invalidità acquisita, i soggetti nati con gravi patologie, chi soffre di un disturbo mentale, gli ammalati temporanei.
Sorprendente è invece ritrovare tra i bisognosi dell’intervento del caregiver famiglie “normali”, con figli piccoli: una su tre con bambini al di sotto dei 14 anni ha ricevuto aiuto, un rapporto che scende a una su sei se la madre è casalinga.
Ma anche una famiglia su tre con il capofamiglia disoccupato, indipendentemente dal numero, dall’età o dalla presenza di figli, ha avuto bisogno di un intervento di cura.
Non è però il problema dell’invecchiamento della popolazione e le mutate sensibilità sociali verso chi ha comunque un bisogno a spingere 65 mila persone l’anno ad aggiungersi all’esercito dei caregiver. La spinta a fare da sé, ad inventarsi caregiver è data prima di tutto dall’assenza, o perlomeno dall’incapacità, dell’ente pubblico di provvedere ai bisogni di un così grande numero di persone. Sono cioè obbligate a far da sé, a prendere congedi straordinari, a scambiar turni sul lavoro, a trascurare il resto della famiglia, il tutto gratuitamente (nel 90% dei casi) ed anzi in parte a proprie spese.
Lo Stato fino agli anni più recenti ha fatto ben poco per andar incontro a chi da aiuto. In agosto è stato annunciato un congedo pagato fino a due anni a genitori che abbiano un figlio handicappato, annuncio confermato con il finanziamento della legge 162 sugli aiuti alle famiglie con figli handicappati gravi o gravissimi (circa 50 mila situazioni). La finanziaria 2001 prevede agevolazioni per chi si occupa di curare un anziano in casa ed è annunciato il varo di una nuova legge sull’assistenza.
Sarà possibile detrarre dal reddito in ragione del 19% a partire da 250 mila lire le spese sostenute per fisioterapia, infermieri ed assistenza paramedica.
Due passettini ma sono annunciate altre previdenze, facilitazioni fiscali e nuove modalità di appoggio più concrete che daranno solidità all’impegno del cargiver che non sarà più un volontario per forza e un primo buon segnale per chi ha bisogno del suo intervento.
Spulciando tra i dati del rapporto Istat: un italiano su quattro assiste un familiare, un vicino o un amico. Dal 1983 al ’98 il ritmo di crescita di questi assistenti è stato dell’8 per cento raggiungendo i 13 milioni. Di questi solo il 5,6% operano in organizzazioni di volontariato mentre quasi 10 milioni operano per conto proprio.
Al contrario di quanto si potrebbe pensare, l’apporto del volontariato è ridotto, meno del 6% e altrettanto, il 4%, quello di estranei a vario titolo, dal pagamento all’alloggio in usufrutto. Il 90% dei caregiver sono i genitori, amici e conoscenti (22%), i figli non conviventi e nipoti (15%), vicini di casa (12%) e fratelli (11%).
La maggioranza ha un’età compresa tra i 55 e 59 anni (è ipotizzabile che assistano i genitori tra i 75 anni e oltre) mentre l’età media è passata dai 43 anni del 1983 ai 46 di oggi. Un donna su quattro svolge un’attività a favore degli altri contro un quinto degli uomini. Una differenza ridotta in percentuale ma a guardar meglio i numeri si scopre una realtà diversa: ben due terzi delle ore prestate da tutti i caregiver (330 milioni di ore al mese, quasi 4 miliardi l’anno) sono delle donne.
Non bisogna d’altro canto pensare alla caregiver come una donna che, per dovere, necessità o per mancanza d’altro si dedica agli altri. Chiaro il rapporto Istat: il 57% delle caregiver è diplomata o laureata, per il 23% ha un lavoro. Solo il 24% è casalinga “per forza” ed ha anche una f
amiglia cui accudire.
Quanto ai servizi sociali, il 40% dei Comuni con più di 20 mila abitanti non ha un centro sociale per anziani; il 30% non ha l’insegnante di sostegno per gli studenti con handicap, sbandierato come diritto garantito; più del 50% non dispone di servizi di inserimento lavorativo per disabili né centri per le emergenze sociali né assistenza domiciliare o fornitura di pasti per anziani soli e in difficoltà.