L’8 e il 9novembre 2013 si è svolta a Roma l’annuale Convegno Nazionale organizzato dal SEAC, associazione che si occupa del coordinamento degli enti di volontariato penitenziario di tutta Italia. Il tema centrale di quest’anno era il costo del carcere; risorse, personale, ma soprattutto costi umani, un’occasione per ridiscutere l’attuale situazione e mettere a fuoco priorità e punti deboli di un sistema non scevro di problemi.
L’apertura dei lavori si è tenuta all’interno del carcere di Regina Coeli con l’intervento di Luisa Prodi, Presidente del SEAC, che ha analizzato le ingenti spese destinate a questo settore, criticando l’utilizzo che ne viene fatto soprattutto dal punto di vista del del detenuto, il quale oggi versa in condizioni di quasi abbandono dal punto di vista dei servizi essenziali.
Più ottimista Giovanni Tamburino, Capo del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria(DAP), che ha voluto segnalare la lenta ma progressiva diminuzione dei detenuti e il leggero calo di suicidi all’interno delle strutture.
Un punto di vista decisamente più critico quello dell’avvocato Riccardo Arena di Radio Radicale, che si è scagliato contro la situazione attuale considerata invivibile, sostiene che la costruzione di nuovi istituti non basterebbe ad eliminare il problema del sovraffollamento, posticipandolo solo, mentre sarebbe necessario investire sul restauro delle carceri esistenti. La soluzione auspicata dall’avvocato Arena e condivisa da Ornella Favero, direttrice della rivista “Ristretti Orizzonti”, riguarda un maggiore ricorso alle pene alternative, un aumento dell’offerta lavorativa, che influisce positivamente sul reinserimento e un’evoluzione normativa riguardante amnistia e indulto.
Con un sempre maggiore affollamento delle celle, le condizioni di chi vi risiede diventano sempre più insostenibili e precarie; quando le risorse, invece che aumentare proporzionalmente con il numero di detenuti, vengono gradualmente e costantemente erose, è necessario sopperire alle mancanze con sforzi e sacrifici eccezionali, spesso compiuti dagli enti di volontariato penitenziario.
Nel territorio italiano sono presenti più di 200 istituti, ma molte delle strutture non sono più adatte ad ospitare i detenuti, costretti a scontare la pena in celle non solo affollate, ma anche carenti dal punto di vista dei servizi più elementari, come il riscaldamento o l’impianto idrico, e dove manutenzioni ordinarie e straordinarie che si sommano aggravando ulteriormente la situazione.
Uno degli aspetti forse più preoccupanti è l’immobilismo delle istituzioni nell’affrontare questa situazione, difatti anche la Corte di Giustizia Europea ha pesantemente criticato il nostro paese non solo per il fenomeno del sovraffollamento, ma anche per aver introdotto la capienza tollerabile, valore nettamente superiore alla capienza legale, fissata a 47.000 posti. È come dire che una situazione è illegale, ma tutto sommato ancora accettabile; ma purtroppo non si parla di stipare degli oggetti in un contenitore non propriamente atto a contenerli, in quanto ognuno di quei numeri rappresenta una persona, e attualmente 20.000 individui sono di troppo.
Il costo del carcere per lo Stato è superiore ai 2,5 miliardi di euro l’anno, quasi il 40% delle spese della Giustizia, ma di queste risorse, circa l’88% è destinato ai 44.000 dipendenti, agenti e operatori, e solo il 6% al mantenimento del detenuto, ad ogni aspetto della sua permanenza dietro le sbarre, dai vestiti all’istruzione, dal servizio sanitario al vitto, arrivando a spendere meno di 4 euro al giorno a persona per i tre pasti che spettano ad ognuno.
Solo il 4% dei fondi dell’amministrazione è dedicato alla manutenzione delle strutture, lente opere di restauro e che costringono a stipare i reclusi nelle sezioni agibili; anche nel carcere di Regina Coeli, dove si è tenuta la prima parte di questo convegno e dove vengono da anni condotti continui lavori per adeguare l’antico edificio, sono state occupate le celle del centro clinico per farci alloggiare dei detenuti, mentre dovrebbero essere usate solamente per soggetti in degenza.
Ma la mancanza di spazio non è l’unico problema, vi sono difatti strutture come la casa circondariale di Lecce che con 20 agenti e altrettanti impiegati ha le celle disabitate, perché da ristrutturare. Ormai dal 2007. Ma ci sono pure istituti di pena a pochi chilometri di distanza non possono accogliere nessuno per mancanza di agenti e personale. Anche quando le risorse sono a disposizione, si rischia quindi di investirle in modo poco oculato, negando quei benefici che potrebbero essere raggiunti con una maggiore consapevolezza dei limiti e degli obbiettivi perseguibili da ogni misura che si intende adottare.
Durante il convegno sono intervenuti diversi esperti e tecnici del settore, tra cui Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale e Ministro di Grazia e Giustizia negli anni ‘90, che ha ricordato come le debolezze del sistema italiano si ripercuotano direttamente sulla rieducazione del condannato, e quindi nuovamente sulla società. La tendenza a strumentalizzare le vittime porta a legittimare la tolleranza zero verso alcuni tipi di reato, ai quali si risponde sempre più spesso con la detenzione piuttosto che con misure alternative, rendendo così le strutture di pena affollate e criminogene. Una volta entrati in prigione si rischia così di trovarsi in circolo vizioso che porta in breve tempo dalla libertà alla recidiva, per la mancanza di alternative di vita al di fuori delle cinta murarie.
Qualcosa è chiaramente andato storto, nel sistema penitenziario, forse nel modo di punire, o forse ancora riguardo a chi punire, fatto sta che dai 25.000 detenuti dei primi anni ‘90, siamo arrivati a doverne ospitare quasi il triplo in soli 20 anni, e a questo forse nessuno era preparato.