I Ladri… di carrozzelle

Data: 01/12/08

Rivista: dicembre 2008

Estate 1989: in vacanza in un villaggio turistico alcuni ragazzi scoprono la comune passione per la musica e, tornati a Roma, decidono di dare vita ad un gruppo musicale. Fin qui nulla di eccezionale. Poi vai a guardare un po’ meglio e scopri che quasi tutti i componenti sono affetti da distrofia muscolare, che la band è arrivata ad avere fino a 14 componenti, che la batteria la suonano in quattro, che il basso è sostituito da una tastiera virtuale, che oltre al progetto musicale i ladri si occupano di progetti di ogni sorta per sensibilizzare sulla diversa abilità… e ti accorgi che non si tratta di un progetto qualsiasi.

Per saperne di più abbiamo intervistato Paolo Falessi, chitarrista della band.

Come inizia la storia dei Ladri di carrozzelle?

Per raccontarla tutta servirebbe più di un’intervista. In quell’estate dell’89 facevo l’animatore in un villaggio turistico e un giorno mi proposero di organizzare delle attività assieme a un gruppo di ragazzi disabili. Io ero un po’ nervoso perché non avevo mai avuto rapporti diretti con persone in carrozzella, ma appena conobbi i gemelli (Mario e Rosario Contarino) rimasi letteralmente folgorato. È stata una delle scene più belle della mia vita: arrivando, vedo questi due ragazzi in carrozzella che litigano e uno fa all’altro: “Guarda che mò me alzo e te meno!”. Lì è scattata la scintilla! Ho capito subito di avere a che fare con dei veri geni dotati di grande autoironia. Proprio questa capacità di sapersi prendere in giro e la comune passione per la musica ha permesso di dare il via al progetto dei Ladri di carrozzelle.
Da allora sono passati quasi vent’anni e del gruppo originale, purtroppo, sono rimasto solo io. Tanti sono stati costretti ad abbandonare per la malattia; i gemelli, ad esempio, sono stati i primi a mancare nel 1993. Di quelli che si sono succeduti, alcuni hanno capito lo spirito del gruppo e ci sono ancora, altri sono stati solo di passaggio. Aldilà di questo ricambio forzato si deve comunque pensare al nostro come a un qualsiasi altro gruppo: ogni tanto litighiamo e prendiamo anche qualche fregatura.

Come è composto oggi il gruppo?

Ad oggi siamo 6-7. Dipende molto dalla disponibilità del nostro bassista Gianluca che, per motivi di salute, partecipa solo ai concerti organizzati vicino a Roma. Comunque siamo preparati per esibirci con una formazione in continua variazione.

Alla faccia della mobilità! Ma quale è il vostro segreto?

Chi sta sul palco suona rigorosamente dal vivo mentre, in caso di assenza, ognuno di noi ha una campionatura delle proprie parti che viene messa in sequenza. Naturalmente possiamo adottare questo metodo solo perché nel corso del tempo abbiamo investito molto in tecnologia.

A chi si rivolgono principalmente i vostri concerti?

Noi non ci formalizziamo. Passiamo indiscriminatamente dai concerti nei palazzetti, con un pubblico giovane, alle feste di quartiere o paese, dove l’uditorio è più “maturo”. Questo perché, prima di tutto, i “Ladri di carrozzelle” esprimono un’idea di integrazione. L’importante è farla girare questa idea, non a chi passarla, altrimenti saremmo i primi a tradirla. Uno dei nostri motti è che “la musica non guarda in faccia a nessuno”; ad esempio quando ascoltavo Ray Charles pensavo ad un grande musicista, non ad un “handicappato”.

A proposito di integrazione: vi siete mai sentiti discriminati?

Purtroppo di stupidi è sempre pieno in giro, ma noi preferiamo riderci sopra, anche perché detestiamo l’atteggiamento di piangersi addosso.

Qualche aneddoto in particolare?

Le situazioni più spiacevoli le abbiamo vissute in televisione.
Una volta in una trasmissione il presentatore ha detto che non se la sentiva di gestire una situazione con disabili. Noi siamo rimasti esterrefatti! Siamo tutti esseri umani, non animali. Cosa c’è da gestire?!? Un’altra volta io e uno dei membri del gruppo in carrozzina abbiamo partecipato ad una trasmissione; il presentatore si avvicina e mi chiede se, rivolgendo la parola al ragazzo in carrozzina, lui lo avrebbe capito…neanche fosse un soprammobile.

Oltre alla discriminazione psicologica vi capita mai di incappare in barriere architettoniche durante i vostri concerti?

Ultimamente, in molti dei posti dove abbiamo suonato, mancava lo scivolo per l’accesso al palco. Comunque quando capitano questi inconvenienti per me non c’è problema, perché giro sempre con una cassetta degli attrezzi e, in caso, sfascio i tavoli che trovo a portata di mano e ci costruisco degli scivoli d’accesso rudimentali. Gli organizzatori magari non sono proprio felici, ma a noi non interessa.

Quanto tempo assorbe l’attività musicale nelle vostre vite?

Tanto! È dal 2001 che organizziamo circa 100 concerti all’anno. In maggio, ad esempio, quando passavo da casa ho avuto giusto il tempo di fare le lavatrici. Comunque per noi è il lavoro più bello del mondo e ne vale veramente la pena. Il problema, purtroppo, è che tante persone con disabilità sono abituate a essere inattive, anche per questo tanti non hanno continuato col gruppo. È un’attività che richiede molti sacrifici.

Oltre ai concerti, vi occupate di altri progetti?

Organizziamo incontri nelle scuole rivolti alla valorizzazione della diversità. Inoltre, abbiamo creato un marchio, D-VERSO, associato ad un merchandising. In questo modo se l’attività musicale non potesse continuare, (ad esempio per problemi di salute) avremmo comunque un supporto economico.
Anche i concerti che realizziamo, comunque, vengono spesso associati ai nostri progetti di sensibilizzazione.

In che modo?

Trasformandoli in spettacoli che associano immagini particolari alla nostra musica, in modo da trasmettere di volta in volta il messaggio che abbiamo scelto. Ad esempio, l’ultimo spettacolo che abbiamo realizzato e che mettiamo tutt’ora in scena si chiama “World in progress” e riguarda la sensibilizzazione alle tematiche ambientali. Altri progetti riguardavano la lotta contro la discriminazione e la violenza. Pensiamo che sia importante non sensibilizzare solo sulla tematica della disabilità, scelta che da parte nostra potrebbe essere la più ovvia, ma diffondere anche altri messaggi che riteniamo positivi.

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