La scorsa primavera, in maggio, i media hanno riferito del suicidio di tre minorenni appartenenti ad un medesimo istituto di scuola media inferiore di Ragusa, con alla base lo stesso fenomeno: il bullismo.
Consideratane la portata abbiamo ritenuto opportuno inquadrare il fenomeno (riguardante in numero sempre maggiore anche la parte femminile) al fine di una maggiore presa di coscienza da parte degli adulti. Non sempre i conflitti dei nostri bambini, infatti, sono semplici baruffe. La realtà, ahimè, è a volte più amara e nel lungo periodo può portare, senza gli adeguati provvedimenti, a forme patologiche di comportamento.
Il “bullismo”, neologismo della lingua italiana, come fenomeno non ha ricevuto nel nostro Paese alcun peso dal punto di vista sociale e scientifico prima degli inizi del Novecento. L’origine etimologica del termine proviene dal mondo anglosassone che ne dà un connotato piuttosto duro. Bullying (in Danimarca e Norvegia mobbing = violenza di gruppo contro il singolo) infatti si riferisce ad un rapporto d’interazione in cui due o più persone esercitano il proprio potere al fine di danneggiare o intimorire un soggetto più debole. La peculiarità del fenomeno sta nell’intenzionalità del gesto da parte di chi lo compie, nella sua persistenza nel tempo e nel disequilibrio tra le parti.
Solitamente i bulli nascono all’età di soli 9-10 anni. I loro atti sono in genere caratterizzati da insulti ed offese verbali, chiacchiere volte all’isolamento dal gruppo oppure violenze fisiche come calci, pugni e piccoli furti. Il bullo in genere non agisce isolato, ma si serve di collaboratori diretti che fanno il suo gioco e di soggetti che con la loro omertà gli forniscono una base legittimante di “prestigio”. Le vittime sono in genere coetanei o ragazzi poco più giovani. Essi sono soggetti deboli, insicuri ed estremamente ansiosi. Una seconda categoria, diametralmente opposta, le cosiddette “vittime provocatrici”, è caratterizzata da comportamenti di tipo aggressivo, dovuti a iper-reattività ed irritabilità che, a differenza dei bulli, si dimostrano inefficaci.
Nel passaggio dalla scuola elementare alle medie e poi alle superiori, il numero delle molestie diminuisce, ma ne aumenta l’intensità. In genere le dinamiche di sopraffazione sono dovute a questioni di potere (affermazione della propria superiorità sociale a livello di forza) e di matrice sessuale (attrazione sessuale nei confronti delle femmine).
Il problema si acuisce con la pubertà in quanto periodo di definizione del proprio Io in Sé ed in relazione col gruppo e col sesso opposto. Lo psicologo norvegese Dan Olweus ha condotto una ricerca i cui risultati riportano che ragazzi protagonisti di atti di bullismo in età scolare hanno una percentuale fino a 3-4 volte maggiore di intraprendere carriere antisociali. Per quanto riguarda le vittime, esse tendono a manifestare rifiuto nei confronti di attività scolastiche, forti stati emotivi di angoscia con relative somatizzazioni e, nei casi più estremi, autodistruzione (depressione anche fino al suicidio).
Ma a cosa è dovuto l’incremento di questi atti? Il mondo degli adulti come risponde a tutto ciò?
I fattori a cui sono stati attribuiti episodi di tale prepotenza sono molteplici, come la cultura, la personalità e le dinamiche di classe, ma quello che riveste il peso maggiore è stato individuato all’interno della comunicazione familiare. Si è notato infatti che i bulli provengono da famiglie troppo lascive. Il ragazzo infatti, non avendo nessuno che vigili sulle pieghe del suo comportamento, rischia di difettare troppo di empatia (identificazione con l’altro) e di impegno morale a vantaggio di un eccessivo individualismo. Al contrario, un comportamento troppo coercitivo non fa che legittimare quello di dominio del ragazzo.
Anche le vittime si son dimostrate prodotti di stili educativi inopportuni poiché iper-protette. Il fanciullo è così incapace di affrontare autonomamente le situazioni.
Analogamente, sul piano scolastico, è dei docenti il compito di intendere i malumori interni alla classe (luogo in cui si svolgono la maggior parte di tali episodi) aumentando la loro attenzione ed evitando comportamenti troppo autocratici. Nonostante ciò, studi di più autori denunciano un raro intervento da parte dei docenti nei confronti delle prepotenze tra le mura scolastiche. Questo può venir ipotizzato anche in maniera indiretta, data l’alta percentuale di molestie all’interno di aree dove il controllo si presume maggiore. Inoltre i ragazzi sono più inclini a denunciare tali episodi ai genitori che ai docenti dai quali si aspettano una sostanziale indifferenza.
Da parte delle istituzioni è opportuno attuare (come è già stato fatto in alcune scuole italiane e straniere, con discreti risultati) dei progetti in grado di stimolare la solidarietà ed il rispetto tra gli studenti tramite approcci curriculari e trasversali alle varie discipline; per non parlare di strumenti informativi e cooperativi tra genitori e corpo insegnanti.
L’auspicio è quello di una maggiore presa di coscienza da parte del mondo adulto, esso solo in grado di limitare episodi di sopraffazione così tipici della nostra società, grazie a metodi d’intervento sempre più mirati.
Al fenomeno del bullismo maschile s’affianca quello femminile. Già, anche le bambine si fanno protagoniste di atti di prepotenza. Il loro, spiega la psicologa Silvia Vegetti Finzi è un bullismo più psicologico che fisico, anche se quest’ultimo non viene completamente escluso. Le bambine sanno essere però più cattive dei maschi, afferma la dottoressa, accennando a ciò che essa chiama i “lividi nell’anima” che, dice, sono i più dolorosi. La loro dinamica si compone di un gioco di derisioni, dicerie, ricatti volti ad allontanare dal gruppo di prescelte la persona non accetta (a volte perché ancora troppo bambina). Questo tipo di soprusi è meno visibile, ma più spietato e più difficile da gestire.
Nella vittima scatta un processo di autodenigrazione accompagnato dalla bramosia di entrare a far parte del gruppo. Non parlandone a nessuno la sfortunata rifiuta la scuola e si finge malata. Tra le ragazzine non vi sono rapporti gerarchici particolarmente rigidi e visibili ma a volte si possono confondere con rapporti di amicizia.
Il bullismo femminile è in continua crescita. Addirittura, come lo psicologo inglese Oliver James, vi è chi prevede, nel lungo periodo, un livello di attività pari a quello maschile.
Una soluzione per non rimanere coinvolte in tali soprusi può essere, afferma la dottoressa Vegetti Finzi, il “non limitarsi all’amicizia con la compagna di banco, al gruppetto nato a scuola”. È quindi opportuno inserirsi in gruppi di attività extra-scolastici, (sport, scout, coro…) che “permettano di avere varie appartenenze spezzando così la dipendenza dalle bulle”.