Gabriella Villari, catanese di 36 anni su una sedia a rotelle a causa di una grave malattia genetica, è stata ospite ad inizio novembre de “Il fatto” di Enzo Biagi. Perché ne parliamo? Perché questo programma era l’occasione per verificare come un grande maestro del giornalismo italiano, di quelli che fanno opinione e ti costringono a riflettere su quanto vedi e senti, presenti al grande pubblico un tema difficile come quello dell’handicap.
Solitamente questo argomento non fa “audience” e viene infilato in coda a telegiornali o all’interno di trasmissioni di medicina o comunque specialistiche che perpetuano al telespettatore l’immagine di un mondo lì a parte, quasi marginale, fatto di sofferenza, abbandono e solitudine, un mondo che riguarda quasi esclusivamente i diretti interessati.
Uniche eccezioni quando l’handicappato è protagonista di episodi particolari: il paraplegico che ruba champagne al supermercato, la psicolabile costretta a prostituirsi, l’amputato alle gambe che scala il Cervino, il cerebroleso abbandonato fuori dalla scuola.
Ebbene il maestro Biagi come ha presentato un handicappato nel suo servizio in onda appena dopo il TG1, in orario di grande ascolto (anche 8 milioni di spettatori) e sempre beneficiato da alti indici di gradimento.
Leggiamo prima la trascrizione dell’intervista: Biagi, con tono grave, descrive brevemente Gabriella (metà della sua vita in carrozzella; ha ballato l’ultima volta alla festa dei suoi 18 anni; una malattia genetica l’ha portata alle condizioni attuali) e le passa la parola chiedendole il perché del suo rifiuto di fare le trasfusioni indispensabili per contrastare la malattia.
Semplicemente per far pressione perché – risponde Gabriella – sia applicata le legge 104 del ’92 che prevede assistenza domiciliare 24 ore su 24 per i casi più gravi.
Chi si occupa di lei? Mio padre.
Quanto spende ogni mese in riabilitazione? 300-350 mila in medicine, poi due volte l’anno vado a Lione e faccio la risonanza magnetica, un milione non rimborsabile.
Che aiuto riceve dallo Stato? Percepisco una pensione e l’accompagnamento, circa 1.200.000 più un assegno integrativo di 220 mila mensili dalla Regione per procurarmi l’assistenza ma per questa cifra finora io non ho trovato nessuno che mi assista giorno e notte.
Se trovasse qualcuno, come cambierebbe la sua vita? Prima di tutto mi sarebbe restituita la mia dignità di persona e sarebbe restituita anche a mio padre che non ha una vita, potrebbe lavorare, uscire quando vuole, incontrare i suoi amici… io non mi farei problemi a chiamare di notte perché so che c’è una persona pagata per farlo… mio padre non è eterno…
La regia manda in onda un servizio in cui vengono snocciolati una serie di dati sulla disabilità in Italia: quasi 3 milioni i disabili di cui un milione e centomila con difficoltà di movimento, 500 mila non vedenti o con problemi di udito, 700 mila con malattie mentali, 220.000 mila completamente paralizzati. Il 25% degli handicappati vive da solo, il 40% in condizioni economiche precarie. Per tutti un’assistenza domiciliare ridotta o assente, trasporti, molti spazi e servizi pubblici resi inaccessibili da barriere. Segue la classifica delle città più barrierate: Ancona, Bari, Napoli, Roma, Venezia.
Biagi riprende la parola. Da quanto è costretta sulla sedia a rotelle?
Mi sono ammalata a 19 anni ma, in modo permanente, sono sulla sedia a rotelle dal ’96.
Qual è il suo ricordo più bello di prima? Gli anni più belli li ho avuti dopo la scoperta della malattia. Sono stata circondata da persone che mi hanno aiutata ma forse è meglio dire che mi hanno sempre dato qualcosa di buono.
Mi scusi, ha un amore?
Si, ho avuto un amore ma è finita. In realtà se non c’è assistenza a domicilio io non mi affaccio neanche all’amore perché io non penso ad un compagno come ad un assistente… io penso ad un compagno come uno con cui voglio vivere la vita, bella o brutta che sia.
Com’è il mondo visto dalla carrozzina? Basso!
La regia interrompe l’intervista con un nuovo servizio titolato “I diritti dei disabili”.
Per garantire ai disabili una vita indipendente la legge 162 del ’98 fissa almeno sulla carta degli standard: assistenza domiciliare 24 ore su 24, previdenze, rimborso parziale delle spese sostenute, rimozione di ostacoli, accesso all’informazione ed alla comunicazione. La realizzazione di questi servizi è affidata a regioni ma non tutte hanno i fondi per poterle attuare.
Riprende Biagi: Se lei potesse incontrare la ministra per la solidarietà sociale Livia Turco cosa le chiederebbe? Le chiederei l’applicazione della 104 necessaria per dare autonomia e dignità al disabile e la possibilità di restare nel proprio ambiente.
Cos’è più difficile sopportare, il suo stato o l’indifferenza delle istituzioni? L’indifferenza delle istituzioni e poi anche della gente, c’è poco senso civico… quando vado a fare la spesa io rimango sempre fuori.
Se continuasse a rifiutare le terapie, lei lo sa, potrebbe morire…
Che me ne faccio di una vita che non è normale, preferisco rischiare a nome di tutti i disabili che non hanno la forza, che sono scoraggiati, preferisco rischiare, è una protesta, una sfida…
L’intervista finisce e parte la sigla con l’arrivederci ad una nuova puntata de “Il fatto” offerto anche quello dai Gianduiotti di una nota azienda dolciaria.
Che dire? Biagi in 5 minuti ha, da un lato dato spazio al caso specifico di Gabriella nella sua realtà vissuta (la malattia, la vita privata, il problema dell’assistenza) senza farne troppo una vicenda personale; dall’altro ha fornito dati sul numero dei disabili senza lasciarsi andare a luoghi comuni, banalità, commiserazione gratuita e immagini dolenti.
Ha accennato alle pensioni troppo basse, al costo delle cure non rimborsabili, ha dato spazio alle rivendicazioni con sobrietà, ha fatto le domande giuste da cui potevano venire risposte interessanti, ha proposto Gabriella come una donna dignitosa e battagliera che vuole vivere la sua vita anche così, che chiede solo di essere integrata (non usa mai “aiutata”) per riuscire a farlo da sé, tutto bene ma… sono le domande che Biagi NON ha fatto a costringerci a classificare il servizio tra i soliti del filone “handicap”: nessun accenno ad una possibile “normalizzazione” della vita di Gabriella tramite un lavoro, neanche sfiorato il tema di un’accettabile vita sociale della stessa mostrandola, tanto per dire, mentre fa spese con un’amica, si ferma per strada a far due parole, cerca di risolvere in qualche ufficio un problema, partecipa ad un’assemblea di condominio, parla di una gita, da un’indicazione ad un turista, ecc.
Il maestro ha perpetuato, in modo ben fatto, in un orario più comodo e a milioni di persone, la solita trita e ritrita immagine del disabile.
Chiaramente se il telespettatore/lettore viene educato a percepirlo soltanto nella prospettiva del bisogno, dell’assistenza e dell’insufficienza, in cui l’handicappato fa esclusivamente l’handicappato e non il cittadino qualsiasi, in cui il tono pietistico prevale sul semplice riconoscimento che anche lui “c’è” e porta avanti la sua vita come meglio gli aggrada, in cui in fin dei conti lui è un problema di cui gli altri devono farsi carico, allora di conseguenza affronterà situazioni concrete in cui si troverà a tu per tu con un handicappato nell’unico modo che conosce, quello che ha imparato dai media: un atteggiamento compassionevole e assistenziale, un sentirsi in dovere di aiutarlo, un percepirlo comunque come un diverso, in fin dei conti un poveretto che da solo non ce la farebbe.
Era l’ultima cosa di cui sentivamo l’utilità: a Biagi soltanto i nostri “complimentucci”.