“Il mare in catene” stupisce per l’impatto scenico e lo stordimento che lo spettatore prova davanti all’immaginario insolito e inaspettato che Francesco Ventriglia trasporta sul palco. Prendendo spunto dal tema della Biennale di danza di quest’anno, Body and Eros, il ballerino e coreografo ha colto un aspetto delicato e incompreso della questione, confezionando uno spettacolo suggestivo e toccante, in cui emerge la passione senza limiti nè privazioni, libera. In scena, lo scontro-incontro tra eros e diversa abilità. Se si pensa che la sua formazione proviene da una scuola di danza, luogo dove il corpo è assolutamente al centro del vivere, dove la sua cura è tutto, dove la bellezza è d’obbligo e la perfezione il biglietto da visita indispensabile, sembrerà strano che in realtà la scelta del corpo da rappresentare sia caduta su quello di una persona con handicap.
Ma in fondo di quale perfezione possiamo parlare? Quella di un corpo funzionante, senza difetti?
Nonostante i passi avanti fatti verso la diversa abilità riguardo l’integrazione, l’inserimento lavorativo, il sostegno alla persona, il superamento delle barriere architettoniche e culturali, tanto ancora viene negato ai disabili. Soprattutto la sessualità e l’amore.
Francesco Ventriglia, con il suo “Il mare in catene”, ci fa riflettere su questo spiacevole tabù e con naturalezza tenta di superare la pesantezza del corpo per parlare dell’universalità delle sensazioni.
Con sensibilità è riuscito a rendere sulla scena la delicatezza del disagio di un corpo costretto a trasformarsi nella forma ma che vuole continuare a vivere le stesse emozioni.
Lo spettacolo è stato preparato da Ventriglia direttamente sul campo, frequentando e lavorando a stretto contatto con persone diversamente abili che hanno arricchito la sua esperienza personale e il suo lavoro. Il suo è un inno alla vita, all’energia del comunicare al di là del corpo. Un invito alla riorganizzazione del fisico che deve per necessità abituarsi al cambiamento (molto toccante la resa del primo contatto con la carrozzina, oggetto all’inizio sconosciuto e nemico) ma che non deve rinunciare alla vita, e dunque all’amore. Sul palco i corpi danzano la bellezza, fanno dimenticare l’imperfezione, la malattia, il confronto… sono liberi di amare. E questa libertà appartiene ad ognuno di noi, diversamente abili o no non ha importanza.