Nella Treccani il negazionismo viene definito come “forma estrema di revisionismo storico, la quale, mossa da intenti di carattere ideologico o politico, non si limita a reinterpretare determinati fenomeni della storia moderna ma, spec. con riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (per es., l’istituzione dei campi di sterminio nella Germania nazista), si spinge fino a negarne l’esistenza o la storicità”.
Il termine “negazionista” nelle discussioni viene spesso visto come un insulto, una delegittimazione morale della propria opinione. In letteratura la parola negazionismo (denial, in inglese) è ampiamente usata anche per classificare fenomeni di rifiuto di alcune conoscenze scientifiche.
In questi primi mesi di vaccinazioni sempre più teorie complottiste e negazioniste si fanno strada all’interno dei media. Nei mesi scorsi abbiamo assistito ad una minimizzazione della gravità della situazione sanitaria, della pericolosità del virus e della sua circolazione, al rifiuto delle proprie responsabilità, alla rimozione del problema.
Come funziona il negazionismo? Perché anche in quest’epoca di informazione le persone non riconoscono gli esiti della scienza?
Si sbaglia a pensare che tale rifiuto possa essere spiegato solo con l’ignoranza, l’irrazionalità o evocando l’analfabetismo funzionale. La conoscenza ha un certo peso nella formazione della nostra opinione, e se non si è formati a sufficienza non è possibile fare un discorso sensato su qualsiasi argomento. Il problema non sono solo il deficit di informazioni o la loro cattiva comprensione; infatti la ricerca in campo psicologico evidenzia che quando interpretiamo dati, notizie ed informazioni siamo inclini ad individuare conferme dei nostri giudizi. La nostra mente funziona attraverso processi che la indirizzano verso la ricerca di una risposta semplice e rapida, soprattutto quando si tratta di prendere decisioni in situazioni, come quella della pandemia attuale, in cui le informazioni sono scarse o incerte.
Ma come funziona il negazionismo? Come si diffondono queste idee?
Gli psicologi Stephan Lewandowsky e Klaus Oberauer parlano di “negazionismo istituzionalmente organizzato”. Infatti esso è promosso da singole personalità e associazioni che, anche se si muovono in modo scoordinato, formano una rete della negazione. Inoltre è un negazionismo razionale, perché si prefigge di influenzare l’opinione pubblica e le scelte dei politici, lavorando tramite libri, pubblicazioni, interventi su giornali e altri media.
Per contrastare il negazionismo è necessario raggiungere la popolazione attraverso un lavoro che dovrebbe coinvolgere diversi attori, dalle istituzioni alle scuole, con progetti ben focalizzati e di partecipazione sociale.
Scrive il filosofo Bruno Latour in Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica: “Nessuna conoscenza certa, lo sappiamo bene, si regge da sé. I fatti restano saldi solo quando c’è una cultura comune che li sostiene, ci sono istituzioni di cui potersi fidare, una vita pubblica grosso modo decente, dei media almeno un po’ affidabili”.
Contrastare i negazionismi e la disinformazione è quindi un’impresa complessa e richiede una responsabilità diffusa nella società. Una responsabilità in buona sostanza collettiva. È un’impresa che, in ultima analisi, a pensarci bene, ha a che vedere con quella cosa che chiamiamo democrazia.