Il progetto RASMORAD

Data: 01/10/17

Rivista: ottobre 2017

Categoria:Progetti e partecipazione

Ha preso il via quest’anno il Progetto Rasmorad (Raising Awarness and Staff Mobility On violent RADicalisation in Prison and Probation services) promosso dall’Unione Europea per contrastare il fenomeno della radicalizzazione religiosa e aumentare la consapevolezza sul problema all’interno degli Istituti di pena del vecchio continente. L’Italia, pur essendo considerato un paese a basso rischio di radicalizzazione, ha dovuto affrontare negli ultimi 20 anni un importante cambiamento per quanto riguarda la popolazione carceraria, che è passata da una quasi totalità di detenuti italiani ad una presenza sempre maggiore di persone straniere, con culture e religioni diverse. Questa situazione non era ancora stata affrontata con sufficienti misure dal sistema della Giustizia italiana, impreparata alla mutata situazione. Un esempio è rappresentato dalla presenza di soli 11 imam autorizzati ad entrare nei più di 200 Istituti di pena dell’intera penisola, a fronte di una presenza di circa 6.000 detenuti di fede islamica, il 11,4% del totale della popolazione carceraria. Mediatori culturali e ministri di culto rappresentano figure importanti in questo contesto in quanto favoriscono l’assistenza religiosa e spirituale di cui non tutti riescono a beneficiare durante la detenzione. Il contrasto e la prevenzione alla radicalizzazione, in questo periodo rappresentata principalmente dall’estremismo jihadista, diventa di fondamentale importanza nel momento in cui anche chi è detenuto solamente per piccoli reati si ritrova in un contesto a rischio aggravato dalle dinamiche carcerarie, in quanto è più facile aggregarsi a soggetti con maggiore influenza. “Per prevenire questi fenomeni è fondamentale un trattamento penitenziario teso alla rieducazione e deradicalizzazione.” sostiene Khalid Rhazzali, sociologo dei processi interculturali e comunicativi, autore del saggio “L’esperienza religiosa dei giovani musulmani nelle prigioni italiane”. Secondo lo studioso, “i carcerati musulmani, sepolti sotto il triplice stigma di musulmani, stranieri e criminali, spesso si rapportino alla dimensione religiosa come l’unica risorsa capace di garantire un principio interpretativo utile a elaborare un significato per la propria condizione.” La pratica religiosa diviene quindi “nucleo attorno al quale si produce una resistenza del carcerato nei confronti dell’istituzione totale.” Il progetto europeo RASMORAD ambisce a portare in campo maggiori conoscenze e una consapevolezza collettiva del problema, condivisa con tutte le figure professionali che a diverso titolo operano in carcere e con il preciso intento di sviluppare un sistema di preallarme utile a rilevare e prevenire deviazioni estremiste tra i detenuti. Il testo non definisce cosa debba intendersi per “radicalizzazione”, rinviando implicitamente al significato comune del termine, ormai utilizzato per descrivere un fenomeno che vede persone “abbracciare opinioni, pareri e idee intolleranti suscettibili di portare all’estremismo violento”.

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