Nel numero scorso abbiamo parlato di disabili e del modo di definirli senza far rifermento all’handicap né interferire con la loro espressione di sé. Questo perché spesso siamo in difficoltà ad usare le parole giuste per interloquire con un qualsiasi altro affetto da disabilità.
In questo numero, al contrario, parliamo di “Superdisabili”, uomini e donne sulla cresta dell’onda, riveriti, omaggiati e ricercati quanto mai in passato! L’anteprima: il 17 gennaio scorso a Roma è stato presentato il libro “Il superdisabile”, analisi di un fenomeno considerato finora sporadicamente e solo a livello individuale, ovvero il disabile di successo, il vincente, il sopra le righe! Il volume inizia analizzando la percezione del disabile da parte di tutti gli “altri” e la sua evoluzione nel tempo: cosa significava essere disabile ieri e cosa oggi? come si è arrivati al suo stereotipo attuale? come si è modificata l’immagine collettiva di lui? come deve agire un disabile qualsiasi?
Fino diciamo a 50 anni fa, l’esistenza per la persona con disabilità fisica o mentale, ma anche per il debole, il malato o l’anziano, era segnata dall’isolamento e dalla soggezione, la sua era più una sopravvivenza che una vita. Il non vedente, il matto, il giovane Down, l’affetto da poliomielite o il deforme erano tenuti nello stretto ambito familiare nella convinzione dei genitori di proteggerlo e per non essere additati come il padre, la madre o il fratello dello sventurato.
Oggi invece la disabilità è accettata, è pubblica e resa sempre più visibile da disabili che, al di là del loro handicap, vivono una vita contraddicendo con la propria azione lo stereotipo stesso del disabile e dell’handicap: da qui alla comparsa del Superdisabile il passo è stato breve!
Dunque chi è un “Superdisabile”? È un disabile giunto alla notorietà locale, nazionale e di più grazie a particolari abilità sportive, intellettuali o professionali! Con le sue imprese e il suo attivismo è in grado di destare ammirazione, di risvegliare autostima, fiducia e imitazione in chi trascina invece una vita da “handicappone” (definizione del nostro compiantissimo Pino), ossia da disabile rassegnato e ripiegato su se stesso. Alcuni esempi chiariranno la cosa: Alex Zanardi (amputato per un incidente), Bebe Vio (amputata per meningite), Giusy Versace (paraolimpica), Annalisa Minetti (cantante ipovedente), Ezio Bosso (compositore e musicista), Frank Williams, Oscar Pistorius (gambe artificiali) e, per citare il nostro piccolo, Pino (fondatore di questo giornale e promotore di mille altre imprese) e Pierangelo Bertoli (cantante ospite di Prodigio). La loro celebrità in se stessa suggerisce comportamenti innovativi o inusuali in attività valutate assolutamente non alla portata di soggetti limitati nell’agire, con poca autostima di sé e in condizioni di marginalità.
I confini di questo spicchio di umanità disabile si stanno allargando sempre più, dalle ragazze con handicap fotografate nude da Toscani alle ragazze paraolimpiche, da Alex Zanardi a Bebe Vio, dall’inglese Williams allo scienziato Hawking. A conquistare l’opinione pubblica, oltre alle affermazioni sportive, intellettuali o artistiche, è soprattutto la carica positiva di queste persone: da un lato ammiriamo ciò che fanno, la loro forza di volontà e l’impegno, dall’altro siamo ammirati dall’innovazione tecnologica e scientifica, nuovi medicinali e protesi, che li ha messi in condizione di ottenere gli exploit di questi ultimi decenni. In qualche caso i Superdisabili sono diventati addirittura dei personaggi affascinanti che trasmettono il messaggio di una bellezza “diversa”! Pensiamo a Chiara Bordi, 18enne con protesi giunta terza a Miss Italia e a Viktoria Modesta, prima showgirl con protesi “bionica” ad esibirsi al Crazy Horse, alla ragazza trentina con protesi alla gamba apparsa sui cartelloni stradali della Provincia per invitare alla prudenza. Si sono posti come modelli non solo di accettazione, integrazione e inclusione, di muoversi e fare sport, di mettersi in relazione con altri ma anche di imitazione positiva: sono stati fautori di una decisa evoluzione rispetto all’isolamento e al pietismo, se non anche alla vergogna e all’umiliazione, spesso sinonimi propri di un disabile “a prescindere da”!
Non pochi hanno visto la propria celebrità diventare ancor più grande comparendo in talk show oppure facendo i testimonial di qualche prodotto pubblicizzato sui media: è di questi giorni la reclame di un’azienda elettrica da parte di Bebe Vio. In genere si racconta la disabilità secondo due ottiche interpretative opposte ma ben compenetrate l’una nell’altra: il pietismo e l’eroismo. Le ritroviamo entrambe nella comunicazione: ricorderete il film “Rain man” sull’autismo, o trasmissioni televisive con protagonisti persone con ritardo cognitivo, in cui handicap, sport, scienza e spettacolo sono mescolati in una narrazione mediatica capace di trasformare disabili qualsiasi in superdisabili, vere star dell’immaginario collettivo!
Su questo sfondare le porte del successo però meglio andare cauti, perché non va creduto che qualsiasi disabilità sia superabile allo stesso modo della schermitrice Bebe Vio, di Alex Zanardi o Pierangelo Bertoli, persone illuminate dalla stella della buona sorte, ossia dall’essere economicamente e socialmente in grado di impegnarsi in quello che poi li ha condotti alla notorietà: la vita dei disabili “anonimi” è una vita ad ostacoli intralciata da burocrazia, barriere mentali e fisiche, emarginazione e oneri economici spesso troppo pesanti da affrontare.
In cauda venenum, il libro contiene anche un severo ammonimento: questo cambiamento di opinione nasconde un rischio! Il “superdisabile”, l’eccezionale, l’esempio di determinazione individuale, l’uomo che apre un varco nell’indifferenza, potrebbe però celare involontariamente un messaggio stereotipato di successo, di ribalta, di copertina, di gioia e fama mettendo in ombra tutti gli altri “disabili comuni”, un mondo ai margini popolato da persone bisognose di cura, di accudimento, di non-solitudine, assistenza, limitate da mille difficoltà quotidiane, pratiche e relazionali. Detto altrimenti, se i media illuminano esclusivamente chi supera una sfida, l’autore di un’impresa eccezionale, il bel gesto, e se il loro messaggio non tiene conto del 99,9% dei disabili che, lontano dai riflettori, sudano la propria disabilità nel quotidiano del proprio handicap, la solitudine in un letto o il piccolo cabotaggio in carrozzina, allora i Superdisabili saranno soltanto fenomeni da baraccone utili a se stessi, da intrattenimento televisivo e nient’altro.
Il senso di questa analisi, ossia l’invito a non trasformare la “superdisabilità” in un nuovo stereotipo, a non creare miti, è anche un ammonimento su come il tema di disabilità possa esser ambivalente, talvolta ambiguo e di difficile lettura: il rischio è che anche un superdisabile venga considerato prima di tutto uno sfigato, uno bravo come un cavallo da circo capace di contare fino a dieci, ma pur sempre un cavallo ossia un handicappato, un perdente di successo: un fenomeno da baraccone appunto!