Le alte temperature, si sa, favoriscono la vaso dilatazione con ristagno sanguigno e caduta della pressione. Le conseguenze vanno dal giramento di testa fino al collasso. Il rischio è più accentuato per le persone che si muovono poco, si tratti delle Guardie della Regina, ferme per ore sull’attenti sotto il sole oppure di persone con qualche disabilità fisica, come quelle in carrozzina. Piedi e gambe gonfie, difficoltà di respiro, spossatezza, afflosciamento mentale e bisogno di sdraiarsi sono i primi e più evidenti sintomi della pressione in discesa.
Unica difesa: mettersi al fresco! Il rimedio più facile è tapparsi in casa con tanto di climatizzatore d’aria oppure fuggire al mare o ai monti. Per i trentini, quest’ultima soluzione è certo più semplice: con tutte le montagne sparse per la provincia, non resta che l’imbarazzo della scelta! Bisogna però stare attenti perché, in questo periodo, non è difficile incappare in escursioni fantozziane: il perché lo scoprirete leggendo!
L’ultima domenica dello scorso giugno l’infuocato anticiclone africano si era spaparanzato sull’intera penisola togliendo il fiato già a metà mattina. Senza climatizzatore e in un palazzo assediato dall’asfalto non resta che la fuga in alta quota. La scelta è per i 1800 metri di passo Lavazè da raggiungere entro mezzogiorno con panini, mortadella, birre e anguria da mettere in fresca nel laghetto. Un’oretta di macchina ed è delusione: auto, roulotte, plaid e tovaglie coprono ogni metro quadrato di prato libero mentre il resto, recintato con tanto di filo elettrico, è ad esclusiva disposizione di centinaia di mucche beatamente al pascolo. Nessuna indicazione di piazzole per disabili!
Che si fa? Breve conciliabolo e decidiamo di cambiare passo: al Manghen (nella foto), 2000 metri, dalla parte opposta della valle. Giù di corsa a Molina di Fiemme e su dall’altra attraverso la val Cadino. Circa 17 km, come da Trento a Vason, per una strada stretta e ripida, dove a stento possono incrociarsi due macchine. Non c’è un gran traffico e questo per noi è garanzia di posticino sicuro, magari un prato con alberi e ruscelletto… In realtà, i pendii molto ripidi della montagna offrono solo prati erti, adatti al pascolo di capre legate in corda doppia!
Incantevole il panorama di vette oltre i 2000 metri, Monte Croce 2490 e Brustolini 2.108, segnate qua e là da chiazze di neve e rivestite di abetaie e prati fino alla cima. Nel fondo valle scorre rumoroso per le molte cascatelle il Rio Cadino.
Di prati o piccoli spiazzi per pick-nick, però, neanche una labile traccia. Ancora un po’ di curve ed improvvisamente ci troviamo in mezzo ad un brulichio di camper, macchine, moto, bici i cui proprietari paiono occupatissimi ad intrufolarsi nel ristorante a due tornanti dal passo. In verità vorremmo buttarci anche noi in mezzo per recuperare qualcosa di fresco ma l’impossibilità di trovare un posticino alla macchina, nemmeno di quelli riservati, ci fa desistere. Mai, come in quest’occasione, il detto “Chi tardi arriva male alloggia” dimostra la propria verità!
Andiamo avanti incastrati tra automobilisti insofferenti, pronti a sollecitare con colpetti di clacson ed acceleratore chiunque rallenti. Ancora una leggera curva ed ecco a cinquanta metri il segnale di Passo Manghen, 2042 metri: sarà qui il tanto agognato paradiso del fresco, con fontane, prati verdi, qualche albero, ruscelletto, ecc.? Macché! Ogni angolo è stato occupato meticolosamente, non c’è alcuno spazio piano né una struttura ricettiva ed i prati, dall’erba ingiallita, sono pieni di sassi. Tantissime le automobili, una a ridosso dell’altra come nel piazzale ex Zuffo nel giorno della fiera di San Giuseppe. Anche l’inquinamento deve essere dello stesso livello! L’aria, infatti, è abbastanza puzzolente, per niente fresca ed anzi perfino surriscaldata dal calore di tanti motori e di tante lamiere.
I cercatori di fresco sono dappertutto sia possibile, si tratti di un sasso piatto o una piazzola per il doppio transito: c’è chi gioca a pallavolo, chi fa free climbing su un piccolo masso, chi prende il sole e chi si sbraccia per farsi raggiungere da qualcuno, intrappolato nella calca del tornante sotto.
Dieci minuti e trecento metri per far svanire ogni speranza di un posticino: una curvetta ed è già discesa nella val Calamento, verso il caldo della Valsugana. Magnifico il panorama anche da questo lato del passo: Monte Val Piana 2.368 metri, Cima Sette Selle 2.396 del Lagorai e, più in là, sfumate dalla distanza, le vette dell’Ortigara e di Cima Dodici. Ruscelli grandi e piccoli rinfrescano l’aria ed estese macchie di rododendro e bottondoro chiazzano di rosa e giallo i fianchi della montagna.
Lungo la strada, vicino ad alcune malghe, mucche e capre pascolano serenamente. Tantissimi turisti, specialmente con bambini piccoli, si avvicinano, le fotografano e le fanno toccare ai bambini, in verità un po’ impauriti e titubanti. Uno, in tenuta da cittadino, mette anche i piedi dove non dovrebbe… La presenza di questi animali è anche annusabili dai finestrini aperti. Per noi oggi è un odore sgradevole ma molto apprezzato ieri dai nostri antenati che avevano in mucche e capre una delle maggiori fonte di sostentamento alimentare.
Ancora un po’ di curve, poi Telve, Roncegno, la superstrada ed il caldo entra prepotente dai finestrini: meglio chiuderli e sotto col climatizzatore! Ancora 30 km e la fornace di Trento si spalanca davanti a noi!
Risultato: 20 litri di gasolio trasformati in 600 di ossidi di carbonio, la mortadella immangiabile per il caldo, l’anguria ammaccata a suon di curve, le birre da rimettere in frigo ed un notevole stress!! Davvero una gita fantozziana che raccomandiamo vivamente a tutti di non ripetere! Anzi, se volete un consiglio, fate come noi: la domenica successiva siamo andati al centro commerciale di Affi: ambienti climatizzati, poca gente (forse erano in montagna…), parcheggi disponibili, pizza a buon mercato: non è quello che andavamo cercando anche la domenica prima?