Mi avvio dal Bepi, amico da anni, per far due chiacchiere ed imbastire l’intervista per il giornale. Un po’ oltre la cinquantina, una vita pressappoco, abita in aperta campagna all’estrema periferia nord della città in compagnia di animali di passaggio, di troppe bottiglie di vino e di un’improbabile biondissima morosa. Ufficialmente ripara elettrodomestici “all’ultima spiaggia” ma per tirar avanti si arrangia in vari modi.
Mentre mi avvicino alla casetta mi accorgo di non aver le idee chiare sul da fare perché il Bepi è un soggetto un po’ particolare, con le sue fissazioni, le sue pause, i suoi tic e va preso per il suo verso.
Alla fine decido che semplicemente registrerò una chiacchierata con un quasi alcolista con un piede nell’emarginazione e uno fuori ma questo non intendo spiegarlo all’interessato.
Verso le 11 e mezza sono lì e lo trovo che parla in un fluente italiano, segno che è già in buona forma alcolica. Gli accenno all’intervista e al perché, lui tira su col naso, sputa per terra e sbotta: “Io parlo come sempre, tu fa quel che vuoi!”
Mi accorgo che il registratore l’ha messo un po’ sulla difensiva e allora la prendo alla larga con una serie di banalità sul tempo, sul superenalotto e i preti. Appena lo vedo un po’ rilassato gli chiedo a bruciapelo: Bepi, ti sei messo a ciucciare prestino stamattina?!
Risposta: “Oggi avevo poco da fare… – qualche bestemmia diretta ad un cliente che non s’è fatto vedere e continua – … e poi il vino mi piace, lo sai bene no? A te non piacciono forse quei libri deficienti che ho visto una volta a casa tua? … Bevi che l’è meio…”
Domanda: Non credi che se tu controllassi il gomito avresti più clienti?
Risposta: “Ai clienti non gliene frega niente se io bevo… a loro basta pagare poco, tra una settimana o mai se è possibile… sono furbi… vengono a ritirare la roba alle sei quando sono in mezzo alla balla e non mi ricordo niente…”
Dico: Ecco la prova che smettere sarebbe megli…
Non mi lascia finire: “Bevo da quando avevo 12 anni e andavo in caneva fonda con mio nonno… vecio che cicloni.. che luganeghe… a volte fumavo il toscano… veniva anche mia zia Mariota che era sempre in chiesa.”
Poiché non mi pare troppo convinto della bontà degli esempi ricevuti, insisto: In altre condizioni avresti potuto metter insieme una famiglia, non ti sarebbe piaciuto?
Risponde con il tono di chi ha schivato per miracolo un gran pericolo: “Sono solo rogne, mi ricordo i problemi che ho creato io ai miei… non sono così mona da andare a cercarli per me…”
Insisto: Avresti qualcuno che si occuperebbe di te, cui potresti lasciare la casetta e la campagna qui attorno, aver qualche soddisfazione…
Mi guarda, sgrana con tono esclamativo alcune bestemmie e sbotta: “Ma dove vivi?! Guarda il P, quello dei cartongessi dietro al Poli: ha mantenuto una sei anni poi una mattina questa se ne è andata col bambino nato durante la relazione. Lui le ha chiesto: e il bocia? E lei ha detto: ma non è mica tuo.. Mi capisci bene… ogni tanto dopo cena viene qua a bere con me… lui ha soldi… vino buono… non tappi a corona.”
Gli ricordo che anche lui ha una morosa.
“Per fortuna – risponde – senno’ a volte non mangerei neanche… Hai finito di registrare??”
Perché?!
“C’è la legge sulla privacy, potrei dire cose che verrebbero a sapere tutti qui in giro… non si sa mai con tutti quelli che conosci tu.”
Provoco: Pensi che vengano a sapere che hai riparato un frigo coi ricambi di un boiler?
Risposta: “Che mona… sul lavoro non bevo… bevo meno… neanche la metà.. ma qui in giro io mi faccio gli affari miei e gli altri anche… meglio non far sapere niente.”
Riprovoco: Dì la verità, dopo che sei passato dal Msi alla Lega la Digos si fa vedere spesso qui in giro…
Si altera un po’ e in dialetto replica: “I terroni mangiano tutti i giorni e non lavorano perché ci pensa il Bepi a loro.. basta tasse.. dovrebbero dar meno soldi anche ai preti, al Kossovo e ai nonesi.. ma da dove tirano fuori tutti ‘sti soldi?”
Segue una pausa durante la quale riordina le sue attrezzature da lavoro. Riprendo da un’altra parte: Che si mangia oggi in casa F? Risposta pronta: “In casa F per primo si beve!! poi per secondo oggi patate e polenta di ieri con carne in scatola scadenza 2005.”
In effetti deve essere ora di pranzo perché butta dentro due bicchieri in successione e mi chiede: “Vuoi fermarti?” Lo guardo, dondola un po’, si riempie un altro bicchiere, bestemmia, tira un rotolo di filo elettrico ad un gatto che saltato sul tavolo gli sta annusando sospettoso la polenta di ieri, si siede e mi ripete l’invito.
Non sarebbe male: il tavolo è sotto la pergola dell’uva fraga e c’è in giro un buon profumo ma non mi pare il caso di far dividere al Bepi quel poco che anche stavolta è riuscito a metter insieme per pranzo.
Con la scusa che a lui piace addormentarsi sul tavolo prima del caffè e che a me non pare educato rimaner lì a tenerlo sveglio me ne vado.
Mi grida dietro: “Non ne vuoi un bicchiere per il viaggio?”
Non ne sento proprio il bisogno a quest’ora ma sono in debito per l’intervista e rifiutare sarebbe scortese.
D’accordo, rispondo, ma solo mezzo. Non preoccuparti, chiude lui, l’altro mezzo me lo bevo io.
Mi accomodo sotto la pergola.