È ormai assodata l’importanza del gioco per lo sviluppo e la formazione dell’individuo. Giocare infatti permette al bambino di rielaborare la realtà favorendo la comprensione degli eventi in essa contenuti e la formazione della propria personalità in relazione ad essi.
Bruno Bettelheim, in contrapposizione con i moralisti più indignati, ha sostenuto che persino i giochi implicanti il maneggio di armi sono fondamentali. Essi permettono di simulare esperienze negative come la guerra, sviluppandone il concetto e quindi limitandone un loro uso spropositato nel futuro.
Ben più dannosi per la crescita dei ragazzi sono i giochi virtuali, comparsi solo in anni recenti, che mettono i partecipanti nella condizione di agire da spettatore passivo. I bambini disimparano così a giocare: la loro fantasia non viene adeguatamente stimolata in quanto l’ipnotizzante realtà virtuale si sostituisce ad essi nella costruzione del contesto e nell’azione. È stata così istituita la figura dell’educatore professionista, incaricato (ahimè!) di insegnare ai bambini a ricoprire il loro ruolo di fantastici “prestigiatori ludici” capaci di plasmare e trasformare con la fantasia ogni singolo oggetto capiti loro tra le mani.
Le attività ludiche però non sempre sono aperte a tutte le categorie di individui. Spesso accade, infatti, che soggetti in stato di limitazione sensoriale, motoria o psichica siano emarginati dalle attività dei coetanei perché giudicati non idonei ai ruoli che esse richiedono. Ma “giocare significa gioire, ridere, discutere, comunicare, accordarsi, stabilire strategie […] quando si esclude un bambino o una bambina dal gioco a causa del loro handicap, li si priva di una fonte di relazione e di formazione di cui hanno diritto”. Scrive così Josè Jorge Chade, noto professore della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Ateneo bolognese, nell’introduzione del suo libro “110 giochi per ridurre l’handicap” prodotto con la collaborazione di Antonio Temperini.
È allora d’estrema importanza proporre giochi dotati di un certo dinamismo, ovvero sia che permettano di essere adattati al contesto, al numero dei giocatori, alla loro età, alle loro facoltà e via discorrendo. Gli oggetti che vi sono inseriti devono poter essere svuotati del loro significato comune per assumere una gran varietà di forme dettate dalla creatività del bambino. Quest’ultimo proietta su di essi le percezioni, le emozioni ed i ricordi in un intreccio che andrà poi a formare il suo Io. Anche le fiabe, il teatro e la narrazione aiutano il bambino nel suo percorso di rielaborazione, aprendolo verso più vaste possibilità di soluzione.
Il gioco, peraltro, è elemento favorito soprattutto in situazioni di terapia e di riabilitazione. Permette, infatti, al disabile, giovane o adulto cui spesso la condizione non stimola molte alternative di sperimentazione, di dar adito alla propria originalità consentendo un’elaborazione che parte da un’azione, al tempo stesso, motoria, verbale e gestuale. Questo continuo relazionarsi con la realtà stimolata dal gioco porta il soggetto ad una maggiore integrazione sia sul piano personale che su quello sociale. Per quanto riguarda soggetti con deficit grave, date le loro limitate capacità cognitive, sarà opportuno fare uso di elementi semplici quali la sabbia e l’acqua mentre altri con gravi deficit del linguaggio li si stimolerà verso altri modi di esprimere le loro emozioni; e così via. All’educatore il prof. Chade conferisce un fondamentale ruolo di riferimento “in termini di rassicurazione, di supporto, di facilitazione, il che non significa sostituirsi al bambino, ma renderlo cosciente delle proprie potenzialità”.
È sulle basi di questa dinamicità che il professore vuole perciò precisare che la sua opera, prosieguo di un percorso avanzato dall’esperto dell’educazione Graziano Bonomi e promosso dal Comune di Bologna/Assessorato al Coordinamento delle Politiche Scolastiche e dal Centro di Documentazione, Formazione e Ricerca Pedagogica, non costituisce pacchetti ludici finiti, bensì spunti diretti a sollecitare la creatività dell’educatore. Afferma il professore “Si tratta di lavorare sulla convivenza nella diversità, di educare con la diversità, nella diversità, come basi di futuri atteggiamenti di rispetto”.