Nel mese di maggio del’98, per mezzo di un sondaggio conoscitivo effettuato nelle parrocchie della diocesi di Trento, ho cercato di definire la presenza di ragazzi disabili e la loro partecipazione alle attività pastorali e di catechesi della comunità.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad indagare in questo campo sono da riferire all’impegno che ogni singolo dovrebbe esprimere cristianamente nei confronti dei soggetti svantaggiati, accogliendoli in modo autentico, aiutandoli a valorizzare le loro potenzialità, dando loro fiducia e condividendone il tempo e le difficoltà.
Sulla base di queste considerazioni, con l’appoggio dell’UCD (Ufficio Catechistico Diocesano) è stata costituita una Commissione che, preso atto della situazione generale diocesana, ha condotto una prima riflessione ponendosi interrogativi e cercando di stabilire degli obiettivi di lavoro e di coinvolgimento di molte persone.
Alla domanda se ci lasciamo coinvolgere facilmente nelle difficoltà che i disabili incontrano nel loro cammino di fede e nell’accesso ai Sacramenti e su come vogliamo attrezzarci sul piano dell’agire e dell’annuncio della Parola accettando quella che ho definito una “sfida”, abbiamo problemi risposte impegnative ma rilevanti.
Così, gli obiettivi che, con un paziente cammino di collaborazione fra i partecipanti alla Commissione e le varie comunità, vorrei si concretizzassero sono innanzitutto la valorizzazione del disabile come “dono e risorsa”, l’elaborazione di criteri e modalità adatte alla loro sensibilità, la formazione di catechisti ed il sostegno alle famiglie.
Progetto utopico o di possibile realizzazione?
Per capire e confrontarmi con persone interessate al tema ho partecipato nel marzo del 2000 a Fiuggi Terme ad un Corso esperienziale di formazione.
Obiettivo di tale convegno è stato il riconoscimento reale e non declamatorio dell’importanza del disabile nella vita comunitaria.
Con una metodologia attiva centrata sull’auto-apprendimento e sul lavoro di gruppo, le 50 persone presenti hanno fatto emergere molti convincimenti, tra cui il concetto della diversità come ricchezza e completezza per le nostre comunità nelle quali il disabile va accolto e capito, senza il timore di mostrarsi inadeguati verso di lui.
Anzi gli ostacoli vanno considerati opportunità per migliorare le situazioni e condividere un cammino di crescita cristiana.
Fatti propri questi punti, diventa possibile progettare anche di fronte a limiti fisici e psichici un itinerario catechistico con l’apporto di tutti.
Per attuare questo progetto, entrano in gioco l’ascolto attivo e l’attenzione all’altro, la comprensione e la tolleranza verso la persona portatrice di handicap.
L’intera comunità è portata a farsi carico di tale comprensione ma non la comunità dei normali che lascia per spirito di commiserazione un posticino anche all’altro ma quella di chi sente l’integrazione e la pari dignità come un dovere.
Comunicare, interagire, trasmettere il messaggio di speranza: se è pur vero che questo è il primo compito dei catechisti, spetta alla comunità non lasciarli soli in tale compito.
Perché l’obiettivo che li muove ha un grandissimo valore: aiutare chi è in difficoltà a percepire Dio nella loro vita come la Persona che più di tutti la ritiene veramente preziosa.