Gloria Valenti, fondatrice dell’associazione Amici di Simone, nonché madre di Simone, risponde ad alcune domande per raccontarci la sua realtà ed il libro che ha scritto.
Quando e come nasce l’associazione Amici di Simone?
L’Associazione “Amici di Simone onlus” nasce il 12 ottobre 2006 dall’impulso spontaneo degli amici di Simone, colpito esattamente un anno prima all’età di quindici anni da un arresto cardiaco, e oggi versa in stato vegetativo. L’intento è quello di non abbandonarlo e di sostenerne economicamente il suo rientro a casa dopo un anno di ospedale. Offrire a Simone una risposta al suo bisogno assistenziale e alla sua famiglia l’opportunità di continuare a vivere è stato e continua ad essere lo scopo prioritario dei ragazzi e dei loro genitori.
Quali sono gli obbiettivi che vi proponete?
Gli amici di Simone hanno come obiettivi:
trovare fondi attraverso la promozione e la partecipazione ad eventi per sostenere la domiciliazione di Simone e degli altri ragazzi come lui (si occupa attualmente di tre ragazzi e sporadicamente di un quarto);
sostenere le famiglie di giovani con gravi cerebro lesioni acquisite attraverso l’informazione e l’orientamento ai servizi e ai benefici disponibili sul territorio provinciale e alle strutture di riabilitazione sul territorio nazionale;
proseguire il dialogo aperto con le istituzioni affinché si realizzi in Trentino una struttura adeguata ad ospitare persone in stato vegetativo, e si attivino provvedimenti in aiuto alle famiglie che assistono a casa il proprio caro.
Fino ad ora avete trovato riscontri positivi nel territorio?
Con il delinearsi degli obiettivi l’associazione, divenuta onlus nel 2007, configura alcune priorità su cui investire energia e parte del denaro che entra attraverso le donazioni e la partecipazione ad eventi. In breve gli amici di Simone diventano un riferimento importante per le numerose famiglie che vivono la stessa condizione della famiglia di Simone e per amici e parenti di persone con esiti di grave cerebro lesioni acquisite in seguito ad incidente stradale, sul lavoro o per cause legate a cardiopatologie.
Forse le persone di fronte a queste tragiche situazioni rimangono intimidite, non sapendo come comportarsi. Quando ha parlato della sua storia durante la presentazione del suo libro, non ho potuto fare a meno di notare come trasparisse una mancanza di umanità da parte del personale ospedaliero. Non desidero generalizzare. Ma mi conferma questa sensazione?
I medici reagiscono a seconda di quanto sono preparati ad affrontare vicende di queste dimensioni, nella nostra provincia i casi sono molto più rari che altrove e per lo più le strutture non sono pronte ad affrontare e accogliere questi soggetti, tanto meno per riabilitarli, il personale in genere: medici e infermieri non sono formati per interagire con i familiari nel periodo successivo all’evento e in genere con i familiari di persone con coscienza minima. Noi abbiamo trovato molta resistenza, quasi ostilità a volte, che naturalmente celava l’imbarazzo di non sapere come agire o rispondere a determinate domande pertinenti. Mi sono state dette anche delle bugie quando la risposta era incerta. Io avrei aspettato volentieri qualche giorno di approfondimento pur di avere la verità. È evidente che c’è un grosso lavoro da fare nell’ipotesi di rendere le risorse che abbiamo a disposizione adeguate ad accogliere e riabilitare i pazienti nella fase post acuta.
Recentemente lei ha scritto “Svegliati Simone”, un libro molto personale. Come si è sentita nel portare a termine quest’opera?
Ho voluto donare un po’ della mia intimità al lettore che ne farà tesoro per capire un certo tipo di sofferenza, ma anche la grande solidarietà che si è creata intorno a Simone. Il mio libro, nato come momento di sfogo e riflessione personale, in realtà contiene un messaggio forte che parla delle potenti risorse che ciascuno di noi possiede e che usa quando si trova di fronte a grandi necessità; un messaggio di speranza rivolto alle persone che soffrono, per la perdita di un familiare o per la malattia o per una fatica oggettiva legata a problemi economici piuttosto che sociali, sull’ immenso valore della vita che non è solo nostra, ma anche un po’ della comunità che ci accoglie che ci ha preparato un contesto e che ci seguirà con il bagaglio ereditato da noi.