Io nella rete ho incontrato un pesce

Data: 01/02/10

Rivista: febbraio 2010

Le reti sociali, o all’inglese Social Network, sono realtà molto diffuse nei paesi dove la connessione internet a banda larga arriva nelle case e sono rapidamente diventate una vera e propria moda incontrollabile.

Ogni giorno un maggior numero di persone più o meno giovani vi si iscrivono, spendendoci sempre più tempo. Ma a cosa è dovuto l’enorme successo di questa idea? Aveva ragione Andy Warhol nel premonire quindici minuti di notorietà ad ognuno di noi? Emergere e farsi notare, trovare, a tutti i costi dunque.

Come mai questo bisogno di apparire? Perché mettere online disponibili a tutti, le foto della cena romantica con il proprio partner, della vacanza in montagna, o dello scherzo fatto agli amici. Cosa porta gli indiuvidui a voler far conoscere la propria vita privata a gente sconosciuta o che non vede da anni e che quasi certamente non rivedrà più?

Il voler restare in contatto con amici che altrimenti potremmo sentire poco è solo la scusa di facciata. Nella maggior parte dei casi, se sono anni che non vediamo una persona molto probabilmente ci sarà un motivo valido che ci ha fatto perdere i contatti. Forse, più semplicemente, postare una foto sul proprio profilo e gongolare nel vedere quante persone hanno espresso il loro gradimento è una delle maggiori soddisfazioni che questi network propongono.

Sono convinto che la cosa abbia origini più radicate.

Nei primi cinquanta anni la grande rivoluzione industriale del nostro secolo non aveva ancora portato il computer nelle nostre case, ma da quando ci hanno interfacciato in questa nuova dimensione ci siamo di colpo trovati a relazionarci con un mondo diverso e più grande.

Ho ventidue anni, la mia esperienza personale sulla linea della storia è breve. Navigavo su internet già da adolescente, ma ricordo ancora le dimensioni che aveva la vita del mio paese quando ero bambino e posso immaginare quelle di quando mio padre era ragazzo.

I tempi di reazione alle cose sono cambiati, sono diventati più rapidi e soprattutto mutati sono i nostri interlocutori quotidiani. Il dialogo con il panettiere dietro casa è ora sostituito con la mail inoltrata al corrispondente australiano o svedese.

Non si aveva, come oggi, il terrore che la propria unità informatica diventasse obsoleta mentre sullo schermo passavano centinaia di informazioni che non possono venire veramente capite, ma che diamo ugualmente per buone. Come una canzone in una lingua sconosciuta, che apprezziamo fin al punto di tentare di cantarla scimmiottando versi simili a parole; senza aver idea di quello che dica e ci porti ad imitare. Così noi ora in questo mondo di bit. Nella realtà umana, che altro non è riassumibile se non nel comunicare e tessere relazioni, noi ci rapportiamo. Ora come cinquanta anni fa. Ma non abbiamo più di fronte la piccola realtà paesana o cittadina. Siamo in chat con tutto il mondo e la cosa ci fa sentire smarriti. Per quanto bravi possiamo essere, ed interessanti risultino i nostri discorsi, non riusciamo più ad emergere nel mare di milioni di contatti della rete. Diventiamo dei pesci troppo piccoli in un oceano quasi senza confini, dove tutti possono esprimersi con anche troppa libertà. Restiamo soffocati, ed annaspando tentiamo di lanciare quanti più messaggi di aiuto nell’etere. Segnali che diventano foto, blog, commenti, citazioni, poesie e persino canzoni.

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