KATIA AERE

Data: 01/12/21

Rivista: dicembre 2021

Categoria:Interviste

Spesso le disabilità nascono da un episodio repentino che spezza la normalità di tutti i giorni. Qual è la
tua storia?

Tutto inizia nel 2003. Mi travolge nel giro di poche ore l’impossibilità di bere, muovermi, alimentarmi e
compaiono dolori lancinanti dovuti alla distruzione della muscolatura striata. Solo dopo molto avrei
saputo che quello che mi aveva colpita violentemente era una malattia rara autoimmune. Il giorno prima
ero in montagna a camminare e quello prima ancora a equitazione: vivevo una vita piena e normale. Posso
parzialmente accomunare quello che mi è accaduto a un grave incidente soprattutto per la velocità del
decorso delle prime ore della malattia. Con una differenza sostanziale: essendo una malattia rara non
svelava dall’inizio quale poteva essere la prognosi, né a breve né a lungo termine, lasciandomi in una
situazione di grande incertezza sul futuro. Sapevo solo che a trent’anni la mia vita era stata sconvolta.
Quello che c’era prima non esisteva più. Il conto da pagare è arrivato quando hanno fatto luce sulla
malattia. Il primo anno è servito solo a capire se fossi sopravvissuta. Un anno di stand by, non volendo
realizzare l’accaduto. Solo dopo ho iniziato a metabolizzare.

La nuova vita, convivere con la malattia e trovare dei percorsi di successo. Chi è Katia Aere oggi?

 

Bella domanda. Se dovessi descrivermi dall’esterno vedrei una persona che è la somma delle sofferenze
vissute, soprattutto di quelle che è riuscita a sfruttare a suo vantaggio. Le cose succedono per caso, ma
mai a caso. Mi ritengo fortunata perché ho riconosciuto, accettato la malattia e fatto in modo che
diventasse la mia forza e non il mio limite. Sia chiaro, la malattia non se ne è andata, c’è e la curo,
tradizionalmente e con lo sport. Mettendo insieme tutti i pezzi è inevitabile che ne esca una nuova te, che
è forte.

Il tuo successo è un insieme di molti fattori, una commistione di talenti: agonismo, determinazione,
fortuna, dedizione. Quali sono i talenti che ti contraddistinguono?

 

Non solo agonisticamente ma anche umanamente penso la caparbietà, la resilienza e la resistenza alla
sofferenza.
Dal 1992 al 2002, prima dell’esordio della malattia, ho subito sedici interventi chirurgici per una grave
patologia addominale. La vita quindi non mi ha lasciato alternative se non resistere. Guardando
all’indietro vedo positivamente questo percorso perché mi ha messo alla prova e mi ha fatto capire che
sono forte. Dandomi speranza e facendomi credere che quando vedi tutto nero, gli altri colori devi tirarli
fuori da dentro di te. Non ho mai permesso a nessuno di dirmi che non ce la farò.
Il tuo percorso sportivo parte dal nuoto, come arrivi al mondo delle tre ruote ruggenti d’handbike?
Io devo iniziare con l’acqua. Diventa, nel decorso della malattia, fondamentale lavorarci per rafforzare la
muscolatura respiratoria. L’indispensabilità del percorso mi fa mettere in secondo piano la fobia per
l’acqua che ho fin da bambina. Qui si parla di vivere o morire e a trentatré anni decisi per la prima, anche
se significava affrontare le mie paure. Andare oltre era imprescindibile.
In primis idroterapia, poi nuoto e agonismo si susseguirono naturalmente facendomi portare a casa oltre
quaranta titoli italiani. L’handbike è arrivata nel 2008 quando vengo convinta a andare a Maniago a
vedere i mondiali di paraciclismo. Nemmeno ho il tempo di orientarmi che vengo spinta in carrozzina
nello stand di Obiettivo3. Mi convincono a salire sull’handbike. Il vento sul viso dopo tanti anni ha
fatto il resto. Non sono più scesa.
Arrivando a questa medaglia di Tokyo 2020. «La» Medaglia.
Faccio fatica ancora a crederci. Settimana dopo settimana sto realizzando il peso di questa medaglia
paralimpica. Mi ha stravolto la vita. Sento di essere rimasta la stessa di prima, quella che è partita per
Tokyo sognando un risultato, quella che voleva dare tutto per non aver nessun rimpianto. Questo podio non lo considero un punto d’arrivo, ma un meraviglioso punto di partenza. Mi fa guardare oltre. Tornata a casa ho sentito il calore della gente. Le paralimpiadi hanno ormai da molti anni una loro identità e a Tokyo hanno riconosciuto ai disabili la dignità di atleta.

Il 2021 sta finendo e ci approcciamo al 2022. Che regalo vorresti per Natale?

Vorrei un regalo semplice: vedere riunita la mia famiglia. Tornata da Tokyo, tra un impegno e l’altro, non
ho ancora festeggiato come si deve e questa è l’occasione perfetta per farlo.
Per i buoni propositi, primo fra tutti, non voglio dimenticare tutto quello che è stato fatto nel 2021. Ciò
che ho costruito deve diventare carburante per cercare nuovi stimoli e traguardi: questo è il mio modo per
vivere al meglio. Avere degli obiettivi che diano un senso alla mia vita.

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