La città e le stelle

Data: 01/12/06

Rivista: dicembre 2006

La città è Diaspar, il tempo è un futuro lontanissimo dove gli uomini vivono ormai da milioni di anni. Tutto sembra essere perfetto sotto lo stretto controllo del grande Calcolatore Centrale: la morte è stata debellata (e anche la riproduzione sessuale) già da parecchio tempo. La realtà virtuale è diventata quasi l’unica realtà e gli uomini hanno la possibilità di vivere centinaia di anni e di rinascere all’infinito mantenendo intatta la memoria di tutte le vite precedentemente vissute.

Ma dietro questa perfezione si cela una grande angoscia. Il primo ad avvertirla è Alvin, un giovane diaspariano la cui eccezionalità sta proprio nell’essere l’unico vero giovane della sua città. Lui è nato solo una volta, quello che sente e quello che pensa lo sente e lo pensa ora per la prima volta e non perché lo ricorda da una vita precedente.

Alvin non si accontenta dell’illusione della realtà virtuale; affamato di emozioni concrete, osserva la volta celeste ed è commosso dal primo palpitare delle stelle dopo il crepuscolo. Soprattutto, è consumato dall’ impulso irrefrenabile di esplorare il mondo oltre i confini della sua città. Per farlo dovrà superare non solo le barriere fisiche insite nell’architettura di Diaspar ma anche le barriere mentali entro cui vivono le persone a lui care. Ci riuscirà? La risposta la lasciamo al lettore.

La necessità di catalogare un’opera in un determinato genere letterario non fa giustizia a questo libro (uscito nel 1956) di Arthur Clarke. La città e le stelle non può essere infatti considerato solo un libro di fantascienza.

Certo, si parla di un ipotetico mondo futuro dove la razza umana ha raggiunto vette cognitive e tecnologiche inimmaginabili. Ma si parla anche dell’essenza dell’uomo e quindi del suo “eterno presente”, prima ancora che del suo futuro. L’Homo sapiens è un incallito esploratore che deve fare i conti, suo malgrado, con l’atavica paura del diverso, o meglio, dell’Invasore (Clarke usa volutamente il maiuscolo): un vero e proprio archetipo junghiano che, più che giungere dallo spazio, si annida nel profondo del nostro inconscio.

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