Molti di noi, durante il corso della vita, dedicano tempo e risorse alla pratica del collezionismo. Non è facile spiegare il perché, tuttavia c’è chi lo fa per hobby e chi guidato da una vera e propria passione. Jonathan è un giovane ebreo nato negli Stati Uniti che colleziona in maniera maniacale oggetti appartenenti alla sua famiglia. Tra questi vi è una fotografia del nonno, vissuto in un piccolo villaggio dell’Ucraina, che nel film risponde al nome di Trachinbrod ma che, nella realtà, intende far riferimento a Trochenbrod, uno shtelt, ossia un insediamento di poche migliaia di persone prevalentemente abitato da ebrei. Il villaggio in questione “scomparve” dalle carte geografiche, bruciato dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Jonathan decide quindi di intraprendere un viaggio alla ricerca di questo paesino, aiutato da guide del posto molto particolari. La prima è Alex, un giovane coetaneo originario di Odessa, che vive all’americana e gli farà da interprete con il suo strampalato inglese; l’autista è il nonno di quest’ultimo, un burbero vecchietto, apparentemente antisemita ma in realtà anch’esso ebreo e “sopravvissuto”, che si nasconde sotto due vistosi occhiali neri professando di essere cieco, affiancato dalla sua inseparabile cagnetta “mentalmente degenerata”. Questo singolare trio accompagnerà il giovane Jonathan nella sua “rigida ricerca” a bordo di una vecchia Trabant.
Tratto dall’omonima biografia scritta da Jonathan Safran Foer, questa pellicola del 2005 segna l’esordio dietro la macchina da presa di Liev Schreiber. Non è una pellicola che si lascia “imprigionare” all’interno di un genere ben preciso: si potrebbe definire una commedia drammatica “on the road”, un viaggio agrodolce attraverso paesaggi evocativi alla scoperta delle proprie origini grazie ai frammenti di memoria che le piccole cose lasciano in eredità a coloro che sono disposti a cercarle. Ma non tutti sono propensi a farlo: da una parte c’è Jonathan (interpretato da un ottimo Elijah Wood), con i suoi appariscenti quanto ridicoli occhiali da vista, con lenti talmente sproporzionate al punto da assumere un forte significato simbolico nella sua ricerca, dall’altra abbiamo il nonno di Alex che, al contrario, dietro ai suoi altrettanto grotteschi occhiali (scuri) sembra quasi volersi nascondere, estraniandosi volontariamente da ciò che lo circonda per paura di accettare il suo passato. Nonostante tutto ognuno dei tre troverà, con modalità diametralmente differenti, il modo di stare in pace con se stesso. Il film sfiora il tema della Shoah in maniera delicata, esortando a non dimenticare e alternando momenti di dovuta riflessione ad attimi di spensieratezza che permeano costantemente gran parte delle sequenze, grazie ad un’ironia mai irrispettosa ma che, al contrario, rende piacevole la visione confermando che ci si può commuovere anche con un sorriso.