La farfalla avvelenata

Data: 01/04/14

Rivista: aprile 2014

La tutela ambientale talvolta viene messa in secondo piano, dalla politica e a volte dai mezzi di informazione. Ma se l’ambiente gode di buona salute questo beneficio si riflette anche sulla vita di tutti, in caso contrario si devono affrontare nuove forme di disagio legate ad inquinamento di aria, acqua e suolo. Questo influisce immancabilmente sul nostro stile di vita e, nei casi più gravi, intacca il diritto alla salute.

La farfalla avvelenata (Città del Sole Edizioni, 2012), apre una breccia nell’immaginario trentino: una provincia dove l’ambiente appare protetto e l’amministrazione sempre buona. Racconta di come, per anni, è stata gestita una fetta dei rifiuti, anche pericolosi, provenienti da altre regioni italiane. Un libro inchiesta con elementi inediti, basato sulla ricerca e la lettura di atti processuali, intercettazioni telefoniche e ambientali. Il tutto intrecciato con la cronaca locale, i retroscena politici di questa terra baciata dall’autonomia. Si parla anche della reazione della gente, dei comitati cittadini. Si legge del sito di cava Zaccon a Roncegno, della cava di Sardagna a Trento e dei fumi dell’acciaieria di Borgo Valsugana, oltre che delle discariche in Val di Sella.

Da dove nasce l’esigenza di raccontare la gestione dei rifiuti in Trentino?

Dalla voglia di raccontare bene le cose: non sempre su un quotidiano si riesce, per motivi di tempo o spazio, a sviluppare o analizzare determinate tematiche. Ci ha spinto la voglia di raccontare i fatti, vista l’importanza delle indagini della Procura di Trento, iniziate nel 2007 con degli strascichi che arrivano anche fino ad oggi. Attraverso il giornale, un filone così, rischiava di dissolversi tra colpi di scena e smentite. Se questo libro ha un merito, è quello tenere alta l’attenzione sull’argomento, che altrimenti rischia di cadere nel dimenticatoio.

Il lavoro sulle fonti è la parte fondamentale di un’inchiesta. Come lo avete affrontato?

Abbiamo letto tutti gli atti giudiziari, incrociandoli poi con la cronaca di quel periodo, delineando non solo la cronistoria dei fatti, ma anche alcune informazioni inedite che non sono comparse sulla stampa. Ad esempio vi sono intercettazioni giornalisticamente molto interessanti che danno la misura di quello che è successo, sta succedendo e rischia di succedere. Volevamo pure raccontare di un certo modo di governare per mostrare i meccanismi che si celavano dietro alla gestione dei rifiuti da parte di pezzi di amministrazione pubblica e di una certa imprenditoria. Per questo era indispensabile riportare atti e intercettazioni, un approccio oggettivo in cui crediamo molto.

Entrando nel vivo della storia, quali sono i casi che avete analizzato e in che modo ne avete avuto notizia?

Parliamo di cava Zaccon, quindi dei rifiuti potenzialmente tossici depositati a Marter di Roncegno; parliamo della cava di Sardagna, sopra Trento e dei fumi dell’acciaieria di Borgo Valsugana. Era importante raccontare questa vicenda, che rappresenta il primo caso di contestazione di traffico dei rifiuti in Trentino. C’è stato un primo grado abbastanza rapido, visti i tempi generali della giustizia italiana, e così pure l’appello. Sono state evidenziate e confermate le modalità con cui è stato organizzato questo traffico, sia dal punto di vista della falsificazione delle analisi, che dello stile nel trasporto di questi rifiuti. Questo modello, fatte ovviamente le debite proporzioni, è lo stesso che troviamo in tante altre realtà italiane e estere. Quindi, se ci viene chiesto perché era importante raccontarlo, noi rispondiamo: perché il Trentino è stato per un certo periodo di tempo una discarica per il Nord Italia.

Da chi è stata promossa l’indagine giudiziaria?

Uno dei dati significativi di questa inchiesta è rappresentato dalla collaborazione tra il pm Alessandra Liverani della Procura di Trento con il Corpo Forestale dello Stato. È importante sottolineare che, pur avendo il Trentino un proprio Corpo Forestale Provinciale con persone competenti, le segnalazioni arrivate dai cittadini di Roncegno allarmati dagli odori che provenivano da Monte Zaccon e dal giro sospetto di automezzi pesanti, sono cadute nel vuoto e nessun ente provinciale si è attivato. Solo grazie ad un ispettore del Corpo Forestale dello Stato che vive in Trentino qualcosa si è mosso e il Nucleo Investigativo della Forestale dello Stato è riuscito, sulla base delle stesse segnalazioni, a sollevare il coperchio e a scoprire i veleni. Sul punto era intervenuto anche l’allora capo della Procura di Trento, Stefano Dragone, il quale aveva evidenziato l’atteggiamento da parte delle istituzioni pubbliche e degli organi di controllo provinciali che avevano ricevuto le segnalazioni senza però darvi seguito. C’è stato forse un problema di comunicazione? Un cortocircuito che non ha fatto attivare i controlli da parte dei controllori provinciali? Noi, senza commentare la vicenda, e questo ci teniamo a precisarlo, abbiamo riportato solo i fatti e la cronaca. Volevamo essere inattaccabili mettendo in luce alcuni aspetti su cui il lettore può costruirsi una sua opinione.

Dagli atti che avete visionato risultano rischi oggettivi per la salute e l’ambiente?

Ci sono rischi potenziali e alcuni sono effettivamente comprovati, come il caso della presenza di cromo esavalente trovato a seguito di analisi in Val di Sella. Non è un elemento che esiste in natura e questo vuol dire che qualcuno lo ha portato là. È una sostanza pericolosa che non è certo finita per caso sotto i prati di quella valle. È una conseguenza di politiche poco attente degli anni ‘70 e ‘80. Ora, a trent’anni di distanza, ci ritroviamo con la presenza di sostanze inquinanti nei corsi d’acqua, dove nuotano le trote che poi ci mangiamo, nel latte materno e nelle pecore. Fatti che, quantomeno, dovrebbero aprire un dibattito serio. Le ultime analisi promosse dai comitati cittadini rivelano che c’è una correlazione tra i fumi emessi dai camini dell’acciaieria e gli elementi chimici ritrovati nelle biopsie di alcune persone residenti in Valsugana. Un problema per la salute quindi potrebbe esserci.

Qual è la situazione del sito di Sardagna?

Per Sardagna era in programma la realizzazione di un’area verde con giochi per bambini. In realtà esiste una determinazione del Comune di Trento che sostanzialmente dice che le cose rimarranno come sono e che non ci sarebbero criticità ambientali evidenti. Da quello che aveva detto l’assessore comunale all’ambiente Michelangelo Marchesi nel corso di un incontro avvenuto proprio a Sardagna nell’aprile 2013, vi sarebbe stata anche la possibilità di trasformare la cava in discarica e lasciare tutto il materiale lì. Ma ricordiamo che negli anni nell’area sono stati scaricati residui e prodotti di lavorazione industriale, con presenza di metalli pesanti e non solo. Materiali che venivano sia dal Trentino che da fuori Provincia. Nessuna delle imprese che gestiva i rifiuti può essere incolpata e così è risultato dai procedimenti, perché controllare che tutto fosse fatto a norma era compito degli intermediari. Per quanto riguarda invece l’acciaieria di Borgo Valsugana, ci sono stati dei patteggiamenti e sono state pagate delle multe, ma per quanto riguarda gli sforamenti delle emissioni sembra che stiano continuando. È quello che sostengono i comitati, secondo i quali, dal 16 settembre 2013 all’11 marzo 2014, in soli 66 giorni di lavoro, si sarebbero verificati 261 eventi di emissioni diffuse, 214 eventi di illecito sollevamento polveri e 4 eventi di esplosioni nel box scoria.

Ma perché questa situazione riguarda direttamente il Trentino?

È principalmente il risultato di politiche industriali degli inizi anni ‘70, anni in cui non c’era una cultura ambientale come c’è adesso. Nel libro non affermiamo che l’acciaieria deve chiudere. Facciamo solo notare che oggi ci sono nuove competenze, tecnologie e risorse per tutelare sia il diritto al lavoro che quello altrettanto sacrosanto alla salute e alla tutela dell’ambiente. Viviamo il risultato di anni in cui non ci si rendeva conto dei rischi per il futuro e, come ha dichiarato il Sindaco di Borgo Fabio Dalledonne, ogni volta che si scava sul territorio comunale si riporta alla luce “roba”, che è frutto di quelle scelte e di una legislazione all’epoca a dir poco farraginosa. È importante tutelare il territorio, le biodiversità e l’ambiente non solo per ragioni economiche o per ostentare un Trentino da cartolina, ma per le generazioni future. Quello che lasceremo sarà la cosa più importante. Parliamo di rispetto del nostro territorio e di difesa della nostra salute. Oggi la società sembra abbastanza matura per avere una coscienza ambientale alta e questo non vuole necessariamente dire essere ambientalisti radicali o militanti, ma semplicemente raggiungere una maturità di cittadini degni di questo nome, che si attivano per affrontare problemi che li riguardano da vicino.

A chi va il merito di questa vicenda, e secondo voi si può riporre speranza nella presa di posizione di una cittadinanza attenta e attiva?

La politica, e questo lo riportiamo nel libro, tende sempre a tranquillizzare, a smorzare i toni, salvo poi essere smentita dai dati raccolti dai comitati cittadini. Un grande merito va riconosciuto proprio a quelle persone che hanno trascorso ore ad analizzare le carte e ad interpellare esperti e medici. Hanno realizzato filmati e hanno investito soldi di tasca propria per fare le analisi privatamente. Questo ci dice che quando i cittadini si attivano e si muove la cosiddetta “democrazia dal basso”, forse è il caso di rispettarli e ascoltarli. Anche perché nei casi citati i comitati si sono sempre presentati con i dati in mano e con una preoccupazione certamente motivata.

Quale risonanza ha ricevuto la “Farfalla avvelenata”?

Abbiamo fatto tanti incontri sul territorio e la cosa bella è che veniamo contattati un po’ da tutta Italia. Il libro è uscito a dicembre 2012 e alcuni librai ci hanno detto che c’è a ancora “l’onda lunga”. Siamo stati a Milano, a Belluno, a Pedavena, e a fine marzo saremo ospiti dell’Università di Padova, quindi siamo molto contenti. Un ringraziamento particolare va a Claudio Sabelli Fioretti, che ci ha fatto l’onore di scrivere la prefazione, in cui si pone l’accento su un’autonomia che non è stata in grado di autolegittimarsi nell’affrontare “la questione rifiuti tossici”, almeno per quanto riguarda le inchieste e i fatti che raccontiamo. Il libro è stato segnalato anche sulla stampa nazionale, ad esempio dal “Fatto Quotidiano”, dall’”Huffington Post” e da “Repubblica”. Ringraziamo anche i comitati che ci hanno aiutato con le presentazioni. Per fortuna c’è ancora qualcuno che quando legge queste cose si appassiona, ne parla e si attiva come cittadino. È la prova che un’informazione fatta in un certo modo dà i suoi frutti.

Ci sono state conseguenze o particolari risvolti dopo l’uscita del libro?

Noi siamo giornalisti. Raccontiamo semplicemente le cose. È cronaca pura. Certo… poi c’è qualche puntura d’ago, uno stile di scrittura che serve a rendere la lettura fruibile a chiunque. Il Trentino, va detto, è in generale un territorio sano. Esistono comunque delle criticità che non si possono nascondere sotto il tappeto. Bisogna mostrare e contrastare certe dinamiche legate più al clientelismo e alle conoscenze che alla qualità dei progetti. Un buon punto di partenza è anche accettare le critiche e i consigli aprendosi al dialogo con chi è più esperto o informato. Come ha scritto il giornalista Franco De Battaglia, è la presunzione il virus dell’autonomia. Questa presunzione si concretizza anche non accettando o tollerando con difficoltà le critiche.

 

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