Ciao a tutti! Mi chiamo Sara e vorrei definirmi «filosofa», ma le circostanze mi sono avverse e non mi permettono questo «status». Pertanto mi accontento di stare in un cantuccio a filosofare, cioè a meravigliarmi, secondo l’aristotelico ammonimento. Meravigliata, dunque, mi sono assai, nel curioso episodio che mi accingo a raccontarvi.
Era il 2011 e, a seguito di una giornata aspra e faticosa di filosofico studio, passeggiavo lungo la trentina via Belenzani con meta la biblioteca comunale, alla disperata ricerca di un poco di oblio. Distrattamente, poso gli occhi su un portone di legno e noto che reca tracciata col gesso, bene in vista, una… formula matematica?! Incuriosita, mi avvicino per leggere: «20 + C – M – + 11». Ad occhi spalancati e cervello che s’era messo a ronzare, passo in rassegna tutte le formule matematiche che conosco: questa assomiglia a quella del delta, ma non ne sono certa. Un po’ stranita, proseguo la mia strada: chissà chi è quel pazzo che scrive formule sugli stipiti delle porte qui a Trento? Non vorrei conoscerlo. Altri cinque passi e… no! Anche lì ce n’è un’altra: identica! E poi un’altra un po’ più avanti. Insomma: alla fine di via Belenzani ne conto ben quattro! A questo punto, la mia curiosità è ai massimi livelli e, con essa, anche un pizzico di sconcerto, dovuto forse al fatto che ho appena visto il film A beautiful mind. I miei interrogativi sono frenetici ed incalzanti: chi mai può essere così pazzoide da lasciare formule matematiche, tutte uguali, scritte con il gesso, sui portoni? Quale matematico studente impazzito? Quale astruso professore geniale? Quale psicopatico amante dei numeri o serial-killer o… ? Le ipotesi sono le più strampalate e spaventose. Non dormo per giorni e il dubbio mi arrovella. Per non apparire pazza, voglio testimoni con me e li porto in una sorta di pellegrinaggio sul luogo incriminato. Tutti si meravigliano e nessuno placa la mia curiosità sempre più forte. Passa un anno: 2012. Sono di nuovo lì, quasi immemore, a causa del tempo e degli avvenimenti trascorsi, ma il quesito esiste ancora, in un angolino remoto del mio cervello. Forse per questo, rivolgo lo sguardo ai medesimi portoni ed eccola lì, un’altra formula, quasi uguale alla precedente eppure diversa: « 20 + C – M – + 12 ». Questa volta sono più preparata, ma attonita rimango lo stesso.
Non è possibile! Il pazzo è ancora in libertà! Torno sconvolta al convitto dove vivo e riferisco ad un’amica l’accaduto, mentre ci avviamo al Seminario Maggiore per un incontro di spiritualità. All’arrivo sono talmente sconvolta, e lei con me, che alla fine dell’incontro non mi posso trattenere e blocco il primo seminarista simpatico che mi è dato di bloccare: «Ti posso chiedere…? Sto facendo un’inchiesta su un fatto ben strano… » e gli riferisco il tutto, assieme speranzosa nelle potenzialità del seminarista, ma rassegnata a non soddisfare comunque la mia curiosità, se non prendendo magari il coraggio a due mani e appostandomi giorno e notte nei paraggi di via Belenzani. Il seminarista, però, all’ascoltare il mio racconto, ha una reazione del tutto diversa: scoppia a ridere e non si ferma più.
Trattengo il respiro: sono vicina alla verità, lo sento! Ed è stato proprio così che ho scoperto… una nota tradizione natalizia trentina ed alto-atesina, che riprende una tradizione diffusa soprattutto in Baviera, la quale vuole che ogni anno, la notte tra il 5 e il 6 gennaio, bambini travestiti da magi vadano di casa in casa ad annunciare la nascita di Gesù Bambino e segnino con il gesso sulle porte delle case le cifre dell’anno in corso (20 – 11 e 20 – 12) e la sigla C + M + B (che io avevo matematicamente interpretato come +M + ), separata da croci o semplici linee (e non segni di addizione o sottrazione) cioè «Christus Mansionem Benedicat» (Cristo benedica questa casa), anche interpretato come le iniziali dei tre Re Magi (Caspar, Melchior, Balthasar), di buon auspicio per l’anno appena cominciato. Cercando su Google, ho poi scoperto che è d’uso lasciare la scritta anche per tutto l’anno, come buon auspicio.
Incredula, ma sollevata dal fatto che i miei spaventosi scenari da Beautiful mind si fossero finalmente dissolti, ho ringraziato il mio amico e sono tornata a casa con una tradizione trentina in tasca in più ed una formula matematica in meno. Morale della favola: se vi imbattete in una formula come la mia, ora sapete cosa fare: non filosofate troppi immaginandovi serial killer matematici, per rimanere notti e notti con gli incubi (che avranno come esito il lampante monito: «Non studiare matematica all’Università!») ma raffiguratevi bimbi travestiti da Re Magi. Oppure: correte subito al seminario, dove gentili e simpatici seminaristi prima rideranno di voi, poi vi rassicureranno e vi daranno tutte le spiegazioni che vorrete!