Nella sfortuna di dover regolare un mio debito con la giustizia italiana per un reato di natura economica, ho avuto la fortuna di conoscere il mondo del volontariato che agisce dentro e fuori le mura della Casa Circondariale a Spini di Gardolo. Volontariato che si rifà a varie ispirazioni sia di carattere laico/sociale o religioso, ma che in definitiva hanno uno scopo comune: cercare di migliorare la vita dei carcerati all’interno della struttura, cercando anche di spianare la strada del reinserimento sociale ai soggetti che dimostrano realmente di impegnarsi nella loro riabilitazione. In maniera particolare, ho conosciuto direttamente l’Associazione Provinciale di Aiuto Sociale per i detenuti, gli ex-detenuti e le loro famiglie: l’APAS.
Il corso di due ore settimanali di studio e approfondimento della Costituzione Italiana tenuto da docenti universitari, avvocati, magistrati, organizzato e gestito dell’APAS all’interno della Casa Circondariale nel 2018, è stato per me il primo impatto conoscitivo dell’associazione. Da questa iniziativa ne ho poi seguite altre, in cui i volontari APAS, godendo anche di una certa fiducia da parte dei magistrati di sorveglianza, sono sempre stati il centro organizzativo e motore propositivo.
Da diversi anni sono responsabili del giornalino dei carcerati “Non solo dentro”, che dal 2018 è allegato trimestralmente a “Vita Trentina”. Mediamente una volta alla settimana la redazione si riunisce in un’aula del carcere per discutere dell’attualità, dei problemi inerenti alla vita sociale e per preparare gli articoli della successiva edizione; mi onoro di avere partecipato, fino alla mia scarcerazione, con diversi articoli per la buona riuscita del giornalino.
Molto toccante ed emotivamente sconvolgente è stata l’esperienza della seconda edizione della “Biblioteca Vivente”, dove APAS ha avuto il ruolo logistico e organizzativo affiancando la Fondazione Franco Demarchi. Dodici tra detenuti ed ex, dopo una preparazione durata sei incontri infrasettimanali per analizzare, comporre e massimizzare una propria esperienza legata al mondo carcerario, si sono trasformati in “libri viventi” ed hanno raccontato, nel tempo massimo di mezz’ora, questa loro intima esperienza a un “lettore” ignaro del contenuto ma stimolato solo dal titolo. Queste performances le abbiamo tenute a Riva del Garda, Rovereto e Trento nel 2019 con una durata, per ogni incontro, di tre ore, e quindi al massimo con sei “lettori”. Sconvolgente è stato alla fine degli incontri leggere le recensioni che ogni “lettore” ha lasciato per ogni racconto. Credo che in quelle persone abbiamo contribuito a sfatare parte della montagna di pregiudizi che normalmente si hanno su ex carcerati.
L’importanza delle azioni svolte in carcere di carattere ludico, formativo e psicologico sono rilevanti quanto quelle di aspetto economico, che APAS è in grado di fornire attraverso la propria struttura lavorativa. Le lavorazioni all’interno del proprio laboratorio danno la possibilità, a chi ha dimostrato di essersi impegnato nel personale percorso riabilitativo e dopo attenta valutazione da parte degli educatori, di poter avere un piccolo reddito, importante sia nell’ultimo anno di pena che nel primo da persona libera. A questo devo doverosamente aggiungere, avendone per qualche mese usufruito anch’io, la possibilità di un onorevole alloggio in abitazione popolare con un minimo contributo alle spese, che permette, a chi esce dal carcere e non ha una famiglia che lo accolga, la possibilità di avere la sicurezza di un appoggio logistico intanto che cerca la sua strada.
A tal proposito vorrei ripresentare un concetto che ritengo molto importante e che più volte ho manifestato in dibattiti o discussioni sulla funzione rieducativa della carcerazione. Sono completamente inutili tutte le azioni svolte all’interno del penitenziario se poi all’atto del fine pena non c’è alcuna forma di accompagnamento al reinserimento nella cosiddetta società civile; il pregiudicato che non ha una famiglia che lo accolga si trova completamente spaesato e facilmente può ricadere nel delinquere per sopperire alle proprie minime necessità di sopravvivenza, ingrossando così negativamente le statistiche di percentuale di recidiva.
Ecco quindi, secondo me, la funzione più importante e meritevole che svolge APAS: fare da trait d’union tra l’attività in carcere e la società civile, dando la sicurezza e la tranquillità di avere tempo a disposizione per trovare la giusta strada. APAS dovrebbe essere spronata con adeguate finanze pubbliche e con maggior attenzione dalle aziende private, per allargare di molto il proprio lavoro, concretamente meritorio, nell’impegno che da tanti anni sta portando avanti con non poche difficoltà, considerandolo nell’interesse dell’intera società.
Ringrazio di cuore tutti gli operatori e i volontari che ho conosciuto in APAS per il loro impegno nel rendere più accettabile e meno traumatico il reinserimento in società mio e di molti altri ex detenuti.