La mostra che provoca, informa ed emoziona

Data: 01/02/11

Rivista: febbraio 2011

Il progetto è itinerante e ha quindi abbandonato Trento per raccogliere le intime espressioni di luoghi lontani; quanto segue è il tentativo di condurre i ritardatari, aimè solo a parole, nel labirinto di suggestioni offerte da questa performance cento per cento “contemporanea”.

Gli spazi dell’emotività e l’acqua come guida sotterranea sono il filo conduttore di “Everyville-tn”.

Con un paio di auricolari, messi a disposizione dall’organizzazione, si viaggia all’interno di uno spazio che, seppur ristretto, (la parte finale della galleria), si espande nel vissuto degli intervistati e in quello degli artisti, ovvero Mara Ferriera, Elisa di Liberato e Lorenzo Facchinelli: tre teste e sei occhi che confluiscono in Mali Weil, (nome dell’associazione). Nasce così, dallo stridente incrocio fra tre registi, una “piattaforma registica”, una creatura mostruosa dal nome tedesco che cavalca l’ Europa, ma rallenta in Italia, paese tuttora culturalmente dipendente dalla figura del regista demiurgo e dall’interpretazione univoca che egli stabilisce.

Mali Weil sbarca a Trento, saltella da un linguaggio all’altro fino a sconfinare nella visual art con una serie di piastrelle che parlano di oggetti smarriti, inciampa nella performing art, (la sera dell’inaugurazione gli artisti si improvvisano in una lettura a quattro mani, causa mal funzionamento dei lettori mp3,) rimarcando così la propria originale vocazione teatrale, nella trama della registrazione che accompagna i fruitori in brevi narrazioni raccolte agli angoli della città. Dallo schermo di dimensioni ridotte una ragazza in primo piano pone domande irrazionali; le risposte sono quelle dei cittadini casualmente intervistati. La ragazza chiede se Trento è una città propizia all’amore. Qualcuno risponde di sì, ma solo a quello nascente che non fa sentire il freddo.

“Storie d’acqua”,mostra ospitata nelle gallerie di Piedicastello nel giugno 2009, funge da prodromo alla performance allestita il mese scorso: il ruolo di voce narrante è assegnato ad Anguana, figura tipica della mitologia alpina; una ninfa dal volto di lucertola racconta di acqua sotterranea, fiumi deviati e ninfe spodestate dal proprio territorio.

In un imprecisato lasso di tempo tra il 1954 e il ‘56, il lavaman del sindaco, o fontana di piazza Venezia, ospitò per alcune notti due ninfe di pietra, ritenute troppo discinte per via della loro nudità e quindi prontamente rimosse. Le due naiadi, opera dello scultore Eraldo Fozzer, furono acquistate nel 1960 dal comune di Bolzano e spiccano oggi sulla fontana di piazza Tribunale.

L’indagine segue il corso dell’Adigetto e il suo scorrere latente sotto via Roggia Grande e Piazza Duomo; lo ricordano solo una linea di porfido rosa che attraversa la piazza e gli zampilli delle fontane del Nettuno e dei cavalli.

Per Everyville-tn l’occultamento dell’ acqua e la cacciata delle ninfe fungono da contenitore per una metafora più ampia: il rifiuto delle opera d’arte da parte del suolo trentino.

Come “Momentary monument”, l’installazione in sacchi di yuta realizzata da Lara Favaletto, e la sua immediata bocciatura, o i teli arancioni di Leo Salotti, che nell’83 hanno resisto per qualche tempo, appesi tra la torre civica e lo scrigno del Duomo, prima di venire riposti, rei di aver schiaffeggiato la bellezza architettonica della piazza. «Non ci sono i super eroi, morirebbero di noia.»qualcuno risponde ad Anguana, che chiede cosa di questa città lo fa arrabbiare. Le provocazioni della ninfa alpina hanno il suono di in un invito sibilato rivolto a chi è davvero in grado di sobbarcarsi la mole e la responsabilità dell’arte contemporanea. La rivista Art Forum ha in seguito posizionato l’opera di Favaletto tra le dieci migliori installazioni del 2009.

Trento l’isola felice, la città dei mercatini, dell’ordine e della convivenza pacifica, ma contemporaneamente carica di un’essenza precaria generatrice di un malcontento celato dai cartelloni pubblicitari del sindaco che ci elencano dieci buoni motivi per sorridere. L’anello debole può forse essere rintracciato nella volontà di negare le origini di città operaia e unta d’olio, di nucleo caotico della protesta studentesca di fine anni 60; rimane ora la proiezione ripulita di una città molto per bene.

Mali Weil indaga il rapporto emotivo degli abitanti con la città, ne cerca le origini e il suo potenziale sviluppo prima di quell’interruzione frutto dei no istituzionali. Per farlo abbandona calendari e convenzioni e si immerge neutrale nelle dichiarazioni altrui, chiedendo a studenti, lavoratori, immigrati e clandestini di creare una propria mappatura emotiva della città, lasciando da parte la memoria storica e ufficiale per fare spazio a quella emotiva. «Rendete l’effimero», hanno chiesto i registi, «quei punti di riferimento che durano solo il tempo di una vita.» Alcuni lucidi appesi al soffitto della galleria raffigurano il quotidiano percorso casa-lavoro di un impiegato; l’uomo sfiora luoghi non contemplati dalla cartografia ufficiale: davanti al supermercato sta un nordafricano con cui scambia battute in dialetto trentino, la casetta del vin brulè, i suonatori di fisarmonica finiti nel sottopassaggio che sbuca in Sanseverino. «L’angolo con via Verdi è la lite con un amico, con il quale poi non ho mai più parlato.» Il procedimento concettuale di Mali Weil segue il concetto della stratificazione dell’esperienza, espressa anche nell’accostamento dei materiali. Un pannello di scatti in sequenza multipla racconta l’angolo in cui i tre registi hanno raccolto i pensieri dei soggetti intervistati. Il pannello è semicoperto da un telo su cui a sua volta viene proiettato un video.

Poche schede esplicative auspicano l’interpretazione personale, pur non lasciando lo spettatore in balia di se stesso. «Le città sono questo, pietra all’improvviso resa viva dalle nostre emozioni, dai nostri desideri. Salendo sulla funivia vedo una città… sempre più piccola, in basso. È linda, ordinata, pulita, ma so che la pietra nuova continua a raccontare un po’ di quello che ha coperto. Ciò che è stato sudicio conserva la memoria di quei giorni di lordura e qualcosa ancora si potrà narrare. Per il resto, pare che non siamo un popolo che lascerà piramidi… ma forse non è un male…»

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