Ciao Federico, si vede a colpo d’occhio che sei un tipo particolare, hai piacere di introdurre chi sei?
Federico Villa, handbiker vagabondo. Sono un ragazzo disabile di 29 anni e sono un atleta Paralimpico di Handbike cresciuto a Monza. con questa bici “diversa”, che si spinge con le braccia ho imparato a conoscermi meglio, scoprire le mie potenzialità! L’Handbike è diventato per me non solo, un mezzo fine a se stesso, ma soprattutto un mezzo di riscatto e personale.
La tua passione per l’handbike è impressionante e va di pari passo con la tua forza di volontà, un esempio davvero per tante persone, da dove nasce tutta questa spinta?
Ho girato il mondo in handbike, e continuo a farlo anche in sedia a rotelle, esplorandolo e mettendomi alla prova ogni anno, anche, rispetto al tempo che corre contro di me.
Infatti soffro di Atassia di Friedreich, malattia neuro-degenerativa, che ogni anno tende a progredire; mi ha costretto su una sedia a rotelle all’ età di 20 anni e purtroppo non accenna a fermarsi… anno nuovo, problema nuovo. Allora dico io, anno nuovo, esperienza nuova, finche posso…
Ma non mi considero un “esempio”: faccio un sacco di cose che non sono propriamente indicate per una disabile con la mia patologia.
Molta gente è da considerare “ esempio” quando ha il coraggio di affrontare le proprie sfide in silenzio e con determinazione per andare sempre avanti, io cerco di farlo facendo solo un po’ più di rumore e forse schiacciando qualche piede in più. La mia non è una verità, è solo la mia storia. Poi se qualcuno ne prende spunto per cambiare la sua di storia… IL GIOCO È FATTO!…e questo mi è di stimolo per andare avanti.
Parlando con te a poche ore di distanza da un’incidente che ti è capitato il giugno scorso durante il campionato di handbike in Trentino a Levico Terme, mi sono meravigliato del tuo spirito e voglia di stare in compagnia nonostante la caduta. Un piede fratturato, contusioni su spalle e braccia per aver urtato i raggi della tua handbike a 44 km orari e a poche curve dall’arrivo, eri incredibilmente pacifico e rilassato. Cosa pensi quando capitano questi danni collaterali?
In 9 anni di competizioni ho imparato a non volere più la forza per vincere, ma a cercare la forza per fare ciò che sto facendo al meglio che posso ora. Poi nella vita come nello sport qualcosa di imprevedibile va storto comunque e “tutto va a remenghe”. Che dire? “Shit Happens”:) non per niente è l’ultimo mio tatuaggio!
Hai fondato insieme a tuo fratello Alessandro, l’Associazione PICCOLIDIAVOLI3RUOTE Onlus Ass. Sportiva Diversamente Abili Monza e Brianza, con l’obbiettivo di costituire una squadra e un team capace di gareggiare e promuovere questa disciplina. Ce ne vuoi parlare? Quali eventi organizzate?
Mio fratello Alessandro, anche lui affetto dalla medesima patologia, ha fondato la società sportiva “Piccoli Diavoli 3ruote” per avvicinare e far conoscere l’handbike a più persone e far sapere al mondo che noi non ci rassegniamo.
Io sono orgoglioso di essere stato, dopo e grazie a lui, il suo primo atleta. Vorremmo infondere in loro la consapevolezza tra i giovani ragazzi con la nostra patologia e altre che con i giusti mezzi e una buona dose di coraggiosa pazzia si può affrontare questa malattia senza penalizzazioni e con esaltanti possibilità di successo. Con o senza la bici.
Ed è con sommo piacere che vi presento la 5° edizione del GP di Handbike di piccolidiavoli3ruote:un Gran Premio dove vedremo sfidarsi gli atleti fino all’ultimo giro a “colpi di braccia”.
L’anno scorso, il 4° GP dei PD3R è stata la gara di paraciclismo più grossa d’Italia di sempre, con 144 iscritti!
Ho capito parlando con te che affrontare determinate sfide da solo non ti fa paura, o meglio rappresenta uno stimolo in più. Lo sintetizza bene il viaggio e la sfida personale che hai compiuto da solo attraversando in handbike Cuba, da cui hai tratto anche una mostra fotografica introspettiva. Cosa ha rappresentato per te questa impresa e cosa pensi sia nato o possa nascere in futuro?
Nel 2013 ho lasciato la bici a casa ed è stato l’anno di Cuba.
Era un viaggio che avevo in mente da tanto, e stava diventando un rimpianto, dovuto anche alle mie peggiorate condizioni fisiche, ma alla fine mi sono buttato anche se avevo paura e non sapevo che problemi avrei incontrato. E sapete una cosa? Sono “guarito dentro”. Metaforicamente intendo, è ovvio, ma ho imparato meglio a capire chi sono e di cosa un disabile o meno sia in grado di fare. Come all’inizio di ogni mia gara, sono padrone della mia scelta, se pedalare o fermarmi. Per ora ho sempre pedalato… e non è certo stata la scelta sbagliata.
Ho la convinzione che la vita sia fatta di scelte, bisogna avere il coraggio di intraprenderle per affrontare le proprie sfide quotidiane. Questa poi non è la verità, è solo la mia storia.
Dall’ Habana a Santiago de Cuba, passando per Cienfuegos, Santa Clara, Trinidad, Camaguey, Baracoa e Holguin.
1300 km percorsi, 14 giorni di viaggio, 35 ore tra auto e bus, 6 “case particolar”, 1 sedia a rotelle e un solo comandante, io.
La mia Cuba è stata un passaggio raccontato da centinaia d’immagini, incroci di mani, gesti, sguardi, vicoli, colori, fotografie a volte sfuocate a volte storte, a volte entrambe le cose. Istantanee che raccontano attraverso il mio punto di vista, diciamo, “più basso”, questo viaggio.
Ci piacerebbe tu concludessi questa intervista con un tuo pensiero libero e un motto dedicato a chi ti leggerà..
Pensate alle differenze delle persone come risorse e non come difetti! 🙂