Girovagando per siti Internet in tema di salute si trovano moltissime notizie sui progressi straordinari della ricerca scientifica e della medicina che lasciano ben sperare per il futuro dell’umanità ed in particolare per chi, come buona parte dei redattori, collaboratori e lettori di questo giornale, ha acquisito cammin facendo una disabilità di natura traumatica, genetica o psicologica.
Dunque ecco l’ultima grande scoperta (tenetevi forte!): i poveri sono più soggetti dei ricchi ad esser colpiti da infarto! Siete stramazzati al suolo per l’asprezza della rivelazione? Non riuscite a darvi ragione di tanta perfida iniquità? Vi sentite indignati col mondo intero per una così esorbitante disuguaglianza di trattamento?
Beh… è lo stesso: secondo una serissima ricerca americana, i disoccupati e quanti effettuano i lavori più umili e meno retribuiti (lavapiatti, ambulanti, lustrascarpe, ecc.) tendono ad ammalarsi di più di cardiopatie rispetto ai miliardari, ai superburocrati dalle ampie poltrone e a quanti altri riescono a vivere a sbafo del prossimo senza dover tirare la carretta.
Secondo il Centro Americano per il Controllo delle Malattie Cardiache, le persone afflitte da una situazione economica infelice e quelli che vivono nelle regioni ad alta disoccupazione dove la paga mensile è mediamente più bassa, hanno maggiori probabilità di subire un infarto e altre malattie cardiovascolari rispetto a chi gode di uno stato economico e sociale elevato.
Con riguardo specifico agli USA, le aree meno prospere come il Missisippi, l’Ovest della Virginia, il Kentucky hanno un tasso di mortalità per infarto piuttosto elevato mentre, al contrario, Colorado, Hawaii e Utah, stati ricchi, ne hanno uno basso. Inoltre neri, ispanici, nativi americani e immigrati clandestini generalmente appartenenti agli strati più bassi della società, sono quelli che accusano maggiori problemi cardiaci con una percentuale di rischio del 26% più alta rispetto ai bianchi di pari età. Il 40% delle malattie cardiache colpisce le persone di colore al di sotto dei 65 anni, nei bianchi la percentuale scende alla metà.
Il problema coinvolge anche le donne: sono certamente meno esposte al rischio di infarto rispetto agli uomini ma una vita di stenti influenza la qualità della loro salute facendole spesso soffrire di ansia e di altre patologie simili.
In poche parole ecco riassunto il senso della ricerca: la povertà non è soltanto una fonte primaria di disagio esistenziale bensì anche fisico, vedi per l’appunto l’infarto.
Ma davvero c’era bisogno di una ricerca scientifica per scoprire questa assolutamente ovvia verità? Di questo passo perché no altrettante ricerche serie per stabilire scientificamente che i ricchi hanno nei portafogli più soldi dei poveri? Che hanno case più grandi e calde, meno calli sulle mani ed auto più grosse e sicure? E per contro che i poveri mangiano meno e male, frequentano poco i ristoranti ed hanno un’istruzione ridotta?
Insomma la ricerca americana ci ha confermato il vecchio adagio: “meglio ricchi e sani che poveri e ammalati”. Noi lo sospettavamo da un pezzo.