La primavera araba e l’inverno di Tunisi

Data: 01/02/19

Rivista: febbraio 2019

Categoria:Disagio e inclusione

La “rivoluzione dei gelsomini” cominciò il 17 dicembre 2010, in seguito alla protesta estrema del tunisino venditore di arance Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco in seguito a maltrattamenti da parte della polizia. Il gesto innescò la cosiddetta “Primavera Araba”: un effetto domino che si propagò ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa.

Alla vigilia dello scorso Natale, ad 8 anni dal tragico gesto, un giornalista tunisino sottopagato di nome Abderrazak Zorgui si è dato fuoco in piazza dei martiri di Kasserine postando prima il video su facebook al fine di incitare altri giovani “disoccupati o sottoccupati” a protestare.

A scendere in piazza non sono stati i giovani ma i meno giovani, i tutelati, gli organizzati, coloro che “sanno stare assieme” sotto l’ombrello del potente sindacato UGTT.

Lo sciopero del 17 gennaio 2019 avrà seguito il 20 e 21 febbraio se non vi saranno novità. Tutta la Funzione Pubblica tunisina s’è fermata – 90% dei dipendenti il 17 gennaio. Hanno incrociato le braccia i lavoratori di ministeri, enti centrali e locali, sanità, imprese di trasporto pubblico, aeroporti e porti, ferrovie, tv e radio statali, scuole e università. Ma non i giovani.

Il nemico con il quale combattere è il Fondo Monetario Internazionale che vorrebbe ridurre il costo della Funzione Pubblica da 15,5% del PIL al 12,5%! Cosa “non facile” con 250 euro al mese di stipendio di media e un aumento promesso da parte governativa di 20 euro. Lo stipendio di un insegnante raggiunge a malapena i 300 euro.

Il Sindacato s’è fatto forte della dichiarazione che avveniva oltremare da Bruxelles dove il Presidente della Commissione Europea Juncker dichiarava che era stato troppo duro con la Grecia e che il potere del FMI e relativa austerità andava ridimensionata.

Ma, lo ripetiamo, di giovani alle manifestazioni non se ne sono visti. L’appello e il sacrificio di Abderrazak Zorgui è caduto nel vuoto. Anzi, nell’etere. I giovani, infatti, riempiono le piazze virtuali ma non più quelle reali a differenza dei loro genitori o fratelli maggiori. Eppure 9 anni fa furono quest’ultimi (oggi 30enni) gli artefici delle primavere arabe con una capacità straordinaria di sfidare il potere/poteri passando dalle piazze virtuali a quelle reali. Furono soprattutto le ragazze che dimostrarono la capacità di mobilitazione.

Impararono però presto che furono usate per spodestare i vari Ben Ali in Tunisia (oggi rimpianto dai più), Hosni Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia fino a Saleh in Yemen per poi venir messe da parte dalle organizzazioni political clericali ben strutturate che si presero piazze, palazzi e le riconfinarono a esprimere la propria rabbia nei social. On line, infatti, traspaiono gli stessi slogan di sette anni fa, ripresi dal Fronte Popolare: “Pane, acqua e niente Ben Ali” che oggi è traslato in “Pane, acqua e niente Nidaa e Ennahda”, riferendosi ai due partiti del governo di coalizione (liberale e l’islamista). Ora i giovani sono stanchi, stufi, di combattere per gli altri e di ricevere in cambio un tasso di disoccupazione tra i più alti del nord Africa.

Eppure la Tunisia è forse il paese più liberale di tutto il nord Africa dove la Chiesa Cattolica ha potuto respirare in questi otto anni e dove i diritti delle donne hanno raggiunto un livello che è impensabile altrove. La donna ha gli stessi diritti dell’uomo nell’eredità e nel divorzio e Tunisi ha una sindaca donna. Ma nella contraddizione è un paese che non è riuscito a sconfiggere la povertà, soprattutto al sud e, secondo l’Arcivescovo di Tunisi Mons. Ilario Antoniazzi, si temono per le imminenti elezioni presidenziali – 2019 – la vincita del partito estremo islamista. Sarebbe una sconfitta non solo per il paese di Annibale ma per tutto il Maghreb. Ed è per questo che si auspica una maggior presenza dell’Italia e di cooperazione con l’Europa al fine di non perdere le conquiste dell’oggi. Al fine (lo dico io) di dare ai giovani un’opportunità che non può essere la BBC: birra, bar e cellulare.

Insomma, si teme con questi nuovi scioperi, la caduta del premier moderato Youssef Chahed (centrodestra) per l’ignoto. Il fronte popolare di sinistra ne chiede le dimissioni ma non ha ancora indicato una via che concili i prestiti del FMI con le richieste del Fondo stesso se non un’azione poco convincente sull’inflazione.

Abbiamo solo un tempo per dar la parola alla politica; al compromesso. C’è il rischio che tornino nelle strade copertoni bruciati, sassaiole e violenze ingiustificate da parte dell’esercito….e forse è il caso di risedersi al tavolo. Al più presto. E rinegoziare una manovra che non può essere dettata unilateralmente da Washington.

 

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