La ricerca della felicità

Data: 01/02/07

Rivista: febbraio 2007

Cambio di rotta in “casa” Muccino: dopo L’ultimo bacio e Ricordati di me il regista romano sbarca in America e torna con successo, non tuttavia con il consueto virtuosismo gratuito e finale di pellicola senza speranza per nessuno dei personaggi delle sue storie, con crisi irrisolte e fallimenti lasciati intendere come ripetibili meccanicamente.

Finalmente La ricerca della felicità ci lascia respirare: è bello vedere il cielo sopra San Francisco, la città teatro della vicenda, ci piace quasi anche il suo traffico caotico. Eravamo troppo abituati alle sue riprese d’interni, perfino claustrofobiche nella ricostruzione dell’inferno che ospitavano. Eravamo stanchi di urla nervose, persino isteriche, delle “sue” donne, dipinte con mariti poco presenti, tradite, stressate. Finalmente abbiamo potuto riposare gli orecchi, ora che la musica resta di sottofondo e lascia parlare i sentimenti.

Muccino ha acquisito consapevolezza e maturità con questo film che non sembra nemmeno suo se si va a considerare la sua quasi esclusiva attenzione, finora, ai drammi familiari. Merito di una storia e di una sceneggiatura fatta su sua misura ed un po’ di merito, come negarlo, ad Hollywood sacro Tempio del cinema mondiale.

Una storia vera, quella di Chris Gardner, single lasciato dalla moglie, stanca delle continue promesse e giovane padre alla ricerca di un lavoro migliore per un futuro sicuro e protetto a offrire al figlio di 5 anni.

La ricerca è il filo conduttore del film: una corsa contro il tempo e contro la miseria, per superare se stessi e i pregiudizi degli altri, per dimostrare di valere e per mantenere promesse, per smettere di raccontare e raccontarsi bugie. Una corsa mozzafiato su e giù per le salite e le discese di San Francisco, in un crescendo rossiniano di disgrazie e coincidenze mancate, culminato nel peregrinare in cerca di un tetto per la notte. È l’esperienza del vivere come e con i “senza tetto”, a rendere palese la fragilità di un padre che vive paura e vergogna sotto gli occhi stanchi del figlio ma che tiene allo stesso tempo stretta la speranza di un cambiamento. Muccino non si lascia andare a sentimentalismi o alla retorica della denuncia, forte dell’interpretazione di Will Smith, intensa e reale, credibile accanto a quella del figlio. Novità per Muccino, l’happy end (sempre evitato finora dal regista!) e le lacrime finali: le nostre, liberatorie dopo due ore di cuore alla gola tanto era grande la voglia di vedere Gardner realizzare uno dei suoi sogni e godersi un meritato successo, un pizzico di felicità.

In fondo il film gioca su questo: concede sia allo spettatore che ai protagonisti della storia, di rilassarsi solo alla fine, appena un attimo prima del “The end”. Forse perché spinge a analizzare il messaggio nel percorso di ricerca, nella corsa e nella lotta piuttosto che nel risultato finale.

Capita spesso di chiedersi “Cos’è la felicità?”. Per Muccino è qualcosa di natura effimera, contenente, nella nostra stessa continua ricerca, la chiave della sua bellezza, il perché vale comunque la pena continuare a inseguirla.

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