Tutti abbiamo avuto modo di fare la coda alle Poste Italiane, di subirne qualche disguido, sperimentarne la lentezza o l’esasperato burocratismo. Illuminante a proposito la vicenda di Angelo il quale però, al contrario di quanto avrebbe fatto l’assoluta maggioranza di noi, una volta subito il torto, ha deciso di non mollare affrontando le Poste con grinta e, bisogna dirlo, con successo. Alla fine della sua vicenda, Angelo ha deciso di raccontarla in una lettera aperta alle Poste stesse.
Ho inviato una raccomandata contrassegno ad un signore residente a Senago in data 11-02-03 – codice a barre della ricevuta >12325545016 – 3<. Non ricevendo l'assegno, ho chiesto informazioni. A Senago, dove la raccomandata era stata inviata, risultava regolarmente ritirata per cui mi mandavano a Milano in via Bagarotti. L'ufficio postale di via Bagarotti mi rimandava a Senago dicendo che non avevano ricevuto l'assegno, dando del deficiente a quello di Senago che mi aveva mandato lì e trattando me sbrigativamente e con sufficienza. A Senago mi rimandavano a Milano usando gli stessi metodi (deficiente io e chi mi mandava).
Come sono riuscito ad avere l’assegno?
Dopo l’ultimo viaggio all’ufficio postale di Milano dove, ancora una volta, mi hanno fatto passare per un povero pazzo demente, anche agli occhi di altra gente che era in fila, ribadendo che era inutile cercare, perché lì, proprio, quell’assegno non era mai arrivato e rifiutando di parlare con me (rompiscatole, cocciuto, villano, ignorante), parlo con il direttore, che dopo un acceso battibecco, vengo liquidato anche da lui.
Torno a Senago dove mi danno la matematica certezza che l’assegno si trovava proprio nell’ufficio di via Bagarotti a Milano. Riparlo con il direttore e dopo una furiosa sfuriata verbale, gli prometto che se non fosse saltato fuori l’assegno, gli avrei sparato in mezzo agli occhi.
Dopo circa due ore il direttore mi informa telefonicamente che l’assegno era stato trovato e mi invita ad andare a ritirarlo. Ho risposto che l’assegno pretendevo mi fosse recapitato a casa. Di rimando mi dice che ciò non era possibile. A quel punto gli riprometto un colpo in mezzo agli occhi. Miracolo: l’assegno lo ricevo, a casa, nel giro di 24 ore.
Vado all’ufficio postale di piazza Napoli per ritirarlo e mi dicono che non potevano pagarlo “qui non ci risulta”. E poi è passato troppo tempo: “ma perché ha aspettato tanto per ritirarlo? Questo assegno non possiamo assolutamente pagarlo”. Spiego che l’ho appena ricevuto ma mi fanno cenno di smetterla di rompere le scatole “qui non abbiamo tempo da perdere! E poi, non vede che fila c’è?” A voce alta, con la chiara intenzione di mettermi contro quelli dietro di me. Cosa che hanno ottenuto. Riprendo l’assegno e faccio per andarmene, dicendo che sarei tornato e avrei fatto una strage. “Chiamiamo la polizia!” – “È quello che voglio!” Mi chiamano indietro “Vediamo cosa si può fare”! Consultano ancora il computer, parlottano, fanno delle telefonate e, altro miracolo, l’assegno si poteva pagare. “Siamo capaci di fare magie”. Si aspettavano riconoscenza e ringraziamenti.
Ritiro i 46 euro (a tanto ammontava la cifra) e penso che era meglio lasciare perdere: il recupero di quell’assegno, tra il tempo perso in telefonate, file e giornate perse in viaggi, mi era costato circa 2000 euro. Se si aggiungono i danni morali (insulti, depressione, rabbia) minimo 10.000 euro! Poste italiane, dovreste sentirvi in dovere di pagare. Si, minimo 10.000 euro. Ma dovreste farlo di vostra volontà, senza costrizioni e senza chiedermi prove e documentazioni quasi impossibili per me da produrre. Qualcosa posso dimostrarla, ma sarebbe insufficiente per vincere una causa. E voi lo sapete. E ve ne approfittate. Non sono in grado di dirvi i nomi, tutti i nomi degli impiegati con cui ho parlato (non li ho chiesti, e quando l’ho fatto ho trovato reticenza e intolleranza). Dei cartellini di riconoscimento, neanche l’ombra. “Dovreste averlo appuntato sul petto in bella evidenza!”- “Si faccia gli affari suoi”.
Cambiano i governi, i tempi, le leggi, le tecnologie ma la burocrazia, (le poste ne fanno parte) no! Questo mostro che con la sua inefficienza, produce inefficienza e blocca tutto, è sempre al massimo della negatività. Fra tutti i Paesi Occidentali, vincerebbe alla grande l’eventuale concorso della miserabilità.
E Berlusconi, da cui ci si aspettava qualcosa? Almeno, in questo campo, zero! Sappia che senza abbattere questa burocrazia mostruosa, niente di quello che si prefiggeva, riuscirà a fare. Ho 55 anni e, se ci penso, grosso modo, il 20% della posta a me destinata è andata persa e, per una volta che decido di non lasciare perdere, riesco a recuperare i 46 euro in questione ma ne perdo 100, 1000 volte tanto.
W le poste italiane! (dato che ci sono, batto le mani a tutti quei carrozzoni come l’INPS, l’INAIL, al sistema bancario, ecc.).
E lo Stato? Fra l’altro, aspetto un rimborso da 8 anni. Il rimborso non arriva, di tanto in tanto mi chiedono la ricevuta di pagamento da inviare per raccomandata, con ulteriore aggravio di spesa.
Torniamo alle poste. Non tirerò in ballo garanti, avvocati, non intenterò cause. Tanto vincereste voi! Procedete autonomamente e coscienziosamente a versare quanto sopra detto (più si, meno no). Sentitene il dovere, anche per riscattarvi dei danni che mi avete arrecato in passato. Dubito che lo farete. Anzi, sono sicuro, non lo farete. Pubblicizzerò in ogni modo questo reclamo, con la speranza che tanti altri sguainino la “spada” e colpiscano a dovere prepotenze e soprusi. Un’altra chicca recente? Il 15-02-03 ho inviato una raccomandata al Presidente Silvio Berlusconi. Non so se l’ha ricevuta, di certo c’è soltanto che la ricevuta di ritorno, come dire? Non è ritornata. Neanche la ricevuta di ritorno! Non sono balle! Ecco il N° della ricevuta di invio: 12325544933-3. Con disistima.
Russo Angelo
e-mail: bucefalo1948[AT]libero.it