Certe cose accadono quando e dove meno ci si aspetterebbe, come due compagni di cella che diventano padre e figlio grazie ad un’adozione, primo caso in Italia nel suo genere.
Quando si pensa alle carceri in generale, ma soprattutto a quelle italiane, non si può allontanare l’immagine di un luogo tremendo, dove soggetti colpevoli dei reati più disparati sono schiacciati all’interno di strutture non sufficienti ad accoglierli, dove bisogna combattere per guadagnarsi uno spazio vitale. Si dimentica però che coloro i quali vivono questa realtà insostenibile sono persone, con gli stessi sentimenti e necessità di chi è libero.
Il ragazzo adottato è un giovane di origini ghanesi, il suo nuovo padre invece è un ex imprenditore italiano di 53 anni, disabile totale dal 2008. Due persone accomunate solamente dello stesso luogo di detenzione, eppure nella stessa cella nasce un buon rapporto di amicizia e di fiducia che ha permesso loro di appoggiarsi a vicenda mentre dovevano scontare la pena.
Il giovane straniero si è da subito offerto di aiutare il suo nuovo e unico amico ad affrontare i problemi legati alla sua disabilità, a superare le difficoltà quotidiane che all’interno della casa circondariale sembrano diventare insormontabili. Le poche risorse messe a disposizione all’interno dell’istituto non hanno di certo aiutato a rendere accessibile un luogo di per sé inospitale per una persona non autosufficiente.
Il detenuto disabile capisce di non essere più disposto a separarsi da lui e cerca un modo per evitare che fosse rimpatriato al termine della pena; dopo aver tentato di fargli ricevere lo status di apolide senza però riuscirvi inizia a pensare all’adozione, e dopo aver eseguito tutte le procedure legali riesce finalmente ad ottenere la paternità del ragazzo, che ora porta cognome italiano.
Sembra impossibile che un rapporto così forte nasca proprio nel carcere di Canton Mombello, uno dei luoghi di detenzione tra i più afflitti dal problema del sovraffollamento delle strutture carcerarie. Qui ci si immaginerebbe una maggiore insofferenza tra detenuti, invece forse proprio la situazione di enorme difficoltà ha fatto nascere questo profondo rapporto; un senso di civiltà tra coloro che vengono stigmatizzati, allontanati e rifiutati dalla società libera.
La solidarietà che ha unito queste due persone nel periodo forse più difficile delle loro vite si avvicina, più di molti dei rimedi giuridici tradizionali, all’idea di rieducazione e reinserimento cui dovrebbe tendere la pena.
Fonte: Pianeta Carcere