La televisione ti vuole magra

Data: 01/10/02

Rivista: ottobre 2002

I disturbi del comportamento alimentare hanno sicuramente cause complesse e richiedono la compresenza di fattori, diversi da individuo ad individuo, che possono essere esattamente chiariti solo in seguito ad un lavoro psicoterapeutico. È comunque importante valutare l’importanza che hanno gli stimoli socio culturali, cui un individuo è quotidianamente esposto, nello sviluppo e nella frequenza della malattia. Analizzando il contatto fra diversi modelli culturali di bellezza, è possibile individuare la mania di magrezza che impera nella società occidentale come una delle cause responsabile del diffondersi in questa dei disturbi del comportamento alimentare. Con i dati oggi disponibili non è possibile realizzare un’indagine transculturale che fornisca dati inconfutabili, tuttavia sono stati condotti alcuni studi, che hanno fornito risultati interessanti, su cui è importante riflettere.

Popolazioni che, pur rimanendo nel loro Paese d’origine, vengono messe in contatto con i mediatori della cultura occidentale, presentano un incremento della frequenza dei disturbi del comportamento alimentare ed un cambiamento nella visione della propria immagine corporea.

Molto interessante è lo studio condotto nel maggio 1999 da Anna Becker (un’antropologa dell’Harvard Medical School) sul cambiamento di attitudini verso il cibo e l’ideale corporeo degli adolescenti delle isole Fiji’ (Figi) negli ultimi dieci anni. Nel piccolo arcipelago limitrofo alla Nuova Zelanda per tradizione si è sempre apprezzato un fisico massiccio e “rotondeggiante” e non si riscontrava presenza di disturbi del comportamento alimentare. Da quando nel 1995 fu impiantata la stazione televisiva che trasmesse da subito i programmi più seguiti negli USA e in Europa, nei quali i protagonisti appaiono tutti magri e slanciati, mentre i personaggi obesi ricoprono ruoli negativi o marginali, si osservò l’aumento della frequenza di diete nonché di anoressia e bulimia; nel 1998 la Becker ha rilevato, dopo aver intervistato un campione considerevole di ragazze adolescenti, che il 74% di esse dichiarava di percepire il proprio corpo come “troppo robusto e grasso” e di voler dimagrire e che il 15% ricorreva a vomito autoindotto per controllare il peso. I ricercatori dell’Harvard Medical School collegarono la comparsa di tali disturbi con le immagini ed i valori veicolati dai programmi televisivi occidentali, imperniati sull’ideale estetico della magrezza.

Anche studi su immigrati provenienti da Paesi come i Carabi, Egitto, Cina, Bangladesh, che promuovono una corporeità “abbondante” e robusta, espressione, in questi paesi poveri, di salute e opulenza, presentano risultati simili e cioè un aumento dell’incidenza di disturbi dell’alimentazione se vengono in contatto con culture occidentali. È il caso dello studio condotto da Nasser nel 1986, che sottopose ad indagine due gruppi di studentesse universitarie arabe, l’uno residente a Londra, l’altro al Cairo. Non riscontrò alcun caso di anoressia, ma ben 12 di bulimia nel gruppo londinesi che aveva acquisito abitudini occidentali.

Sembra addirittura che la probabilità di sviluppare un disturbo dell’alimentazione sia più alta tra i soggetti occidentalizzati che non tra i soggetti nativi in Occidente. Quanto più si è ancorati alle proprie tradizioni, tanto maggiore è l’impatto con una cultura diversa e tanto più grande il tipo di disagio che può derivarne. Viceversa per una sorta di adattamento, chi ha sempre a che fare con quel tipo di cultura ne risente molto meno. Efficace anche se un po’ azzardato è il paragone fatto da Anna Becker tra la colonizzazione mediatica degli anni novanta e l’arrivo degli esploratori inglesi alla fine del secolo scorso: essi portarono con sé il morbillo ed altre malattie sconosciute agli indigeni, recando loro tanti danni, così la televisione oggi, con i suoi canoni estetici sta mietendo tante vittime in una popolazione prima immune da preoccupazioni di dieta.

La situazione del Giappone risulta molto interessante: si ritrova una forte ambivalenza tra modelli culturali orientali ed occidentali, documentata dalla percentuale di prevalenza dei disturbi del comportamento alimentare. Mentre i sintomi anoressici sembrano piuttosto rari, raggiunge valori significativi la prevalenza della bulimia, variando dal 2,1% al 3,6% a seconda delle zone considerate. Sembra anzi che in questo Paese sia sviluppata una forma particolare di bulimia (dal nome Kibarashi-gui), caratterizzata anch’essa da abbuffate, ma che non ricopre tutti i criteri della bulimia stessa, che colpisce 1% degli uomini ed il 7,8% delle donne. Si potrebbe quasi pensare che questa sindrome sia il frutto di una progressiva occidentalizzazione del territorio, quasi fosse stata importata insieme ai modelli culturali europei ed americani.

Questi studi sottolineano l’importanza ed in alcuni casi la dannosità degli stimoli cui il nostro cervello è sottoposto ogni giorno (immagini, spot pubblicitari, programmi televisivi) e di cui difficilmente la popolazione (sempre e tutta esposta) abbia difficoltà ad individuare.

«Benché la personalità di chi soffre di questi disturbi [dell’alimentazione] rivesta un ruolo importantissimo […] benché la famiglia rivesta un ruolo abbastanza cruciale […] sono convinta che […] l’ambiente culturale abbia una responsabilità uguale se non maggiore. Avevo a disposizione diversi metodi di autodistruzione, […] milioni di modi in cui avrei potuto reagire ad una cultura che trovavo altamente problematica. […] Ho scelto un disturbo dell’alimentazione. Non posso fare a meno di pensare che se fossi vissuta in una cultura dove la magrezza non è considerata come un particolare stato di grazia forse avrei cercato un altro mezzo per raggiungere la grazia.» (tratto da “Sprecata” di Marya Hornbacher).

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