La vita o la morte

Data: 01/04/05

Rivista: aprile 2005

La travagliata vicenda di Terry Schiavo, ha riaperto in tutto il mondo il dibattito sull’eutanasia, ossia sulla possibilità o meno di procurare una “dolce morte” in un paziente affetto da patologie dolorose e incurabili. Da una parte ci sono quelli che considerano la vita non solo un diritto, ma anche un dovere. Dall’altra quelli che sostengono che l’uomo deve poter disporre liberamente della propria vita e della propria morte. Casi come questi sono sempre più numerosi in tutto il mondo, anche se la cronaca tende a portare alla luce solo quelli più eclatanti come quello di Terry dove tra l’altro non sono mancati elementi di folklore all’americana (come l’uomo che ha offerto 1 milione di dollari al marito della donna per comprare il di lei “diritto alla vita”). Sull’eutanasia esiste molta confusione, vuoi per l’ambiguità del suo significato letterale (buona morte), vuoi per i diversi contesti in cui questa pratica è stata utilizzata.

Se per i greci l’eutanasia aveva senso solo come atto volontario (il classico suicidio valoroso alla Socrate) per i medici nazisti del progetto T4 è stata intesa come un “trattamento forzato” da somministrare a “un paziente” ritenuto incurabile e, naturalmente, senza alcuna voce in capitolo. La posizione attuale sembra avvicinarsi più a quella originaria greca (eutanasia come scelta volontaria del diretto interessato) anche se ci sono casi molto più problematici dove è un tutore legale a decidere, come ad esempio nel caso della Schiavo. In base a cosa infatti possiamo stabilire che una persona vuole porre fine alla propria esistenza, se non è più in grado di manifestare la propria volontà? Ponendo anche il caso che questa stessa persona, abbia precedentemente dato disposizioni in questo senso, possiamo davvero essere sicuri che in seguito non avrebbe potuto cambiare idea? Stati come il coma vigile, non escludono una qualche attività cerebrale e le attuali conoscenze mediche non permettono di sapere se esista ancora in questi pazienti un barlume di coscienza, di pensiero, che però non è fisicamente esprimibile.

Va detto che ci sono almeno due forme di eutanasia, quella passiva quando il medico si astiene dal praticare cure finalizzate a tenere ancora in vita il malato, quella attiva quando il medico causa, direttamente, la morte del malato. Nella casistica si tende a far rientrare anche il cosiddetto suicidio assistito, l’atto autonomo di porre fine alla propria vita compiuto da un malato terminale in presenza e con mezzi forniti da un medico. Il problema dell’eutanasia è sentito soprattutto nella nostra epoca perché si vive di più e ci sono farmaci e macchinari che, se non riescono a debellare del tutto una patologia, riescono comunque a mantenere in vita una persona. Come ha scritto Daniel Callahan si vivono: “Vite più lunghe e salute peggiore; malattie più lunghe e morti più lente; vecchiaia più lunga e demenza crescente”.

Fino a non molti decenni fa, la morte giungeva di solito abbastanza presto, o perché la malattia non poteva essere efficacemente contrastata, o perché insorgevano complicanze come infezioni polmonari che allora si rivelavano rapidamente mortali. La questione dell’eutanasia, se c’era, si poneva unicamente in una dimensione morale-religiosa e non certo giuridica. Oggi, l’interpretazione giuridica dell’eutanasia varia molto da paese a paese. In Italia, i principi religiosi del cattolicesimo e i valori morali dominanti hanno portato a una normativa piuttosto restrittiva che ha di fatto equiparato l’eutanasia all’omicidio (articolo 575 del codice penale), o all’omicidio del consenziente. L’idea di base è che la vita è stata donata da Dio, e solo lui può disporne. Come ebbe a dire Pio XII: “Per quanto concerne il paziente, egli non è padrone assoluto di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita ma è di salvarla”.

Non tutte le chiese cristiane la pensano così: diverse chiese protestanti hanno assunto posizioni più liberali, e alcune chiese minori riconoscono apertamente il diritto dell’individuo di disporre della propria vita. Per i valdesi l’eutanasia è “un diritto che va riconosciuto”. In Italia, comunque, non sono mancati e non mancano i tentativi di rimodernare la normativa in materia. Il primo parlamentare a presentare una legge per disciplinare l’interruzione delle terapie ai malati terminali è stato Loris Fortuna nel 1984, già sostenitore della legge sul divorzio. Inoltre, l’importanza assunta dal tema dell’eutanasia presso l’opinione pubblica italiana negli ultimi tempi, ha spinto all’iniziativa diversi parlamentari. Nel corso del ‘99 l’Ulivo ha presentato una proposta di legge concernente “disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Il 13 luglio 2000 lo stesso Ministro per la Sanità Veronesi ha affermato che “l’eutanasia non è un tabù” e che una soluzione al problema deve essere trovata in tempi brevi. Nel frattempo anche il Consiglio Comunale di Torino ha votato una risoluzione pro-eutanasia. Nell’agosto 2001 i Radicali hanno presentato una proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo «Legalizzazione dell’eutanasia”.

In altri paesi come l’Olanda, dove è da tempo possibile optare per l’eutanasia passiva, il dibattito sull’ammissibilità dell’eutanasia attiva è sempre più vivace. Proprio in Olanda la Royal Dutch Medical Association, l’associazione dei medici olandesi, ha rivisto nel 1995 la normativa che regola la pratica medica, sottolineando l’importanza della responsabilizzazione del paziente, che generalmente pone fine da sé alla sua vita assumendo in dose eccessiva i farmaci prescritti dal medico (“suicidio assistito”). Un altro Stato dove di recente è stata introdotta un’innovativa legislazione che consente il suicidio assistito da un medico è l’Australia. Negli USA, la Corte Costituzionale Federale ha sancito il diritto di ciascun Stato a poter emanare nuove leggi in proposito; soltanto lo Stato dell’Oregon ha legiferato per la liceità e legalità dell’eutanasia. I problemi che restano aperti sono naturalmente molti.

Riconoscere l’eutanasia individuale passiva non consensuale non significa infatti legittimare quella collettivistica, chiamata talvolta a giustificazione dello sterminio nazista. Non dovrebbe neanche implicare il mettere qualcuno nelle condizioni di decidere della vita di un’altra persona. È indubbio però che quelli che considerano sacra e inviolabile la vita, oltre che la libertà individuale, ritengano ingiusto lasciar decidere a terzi della vita di una persona, anche se sospesa tra la vita e la morte. Molti, inoltre, ritengono che oggi, per quanto vietata, l’eutanasia individuale venga largamente praticata.

La storia di Terry

Terry Schiavo, la donna della Florida a cui il 18 marzo scorso è stato staccato il tubo che l’ alimentava dal 1990 è stata per dodici anni al centro di una battaglia legale che ha opposto il marito Michael Schiavo ai genitori Mary e Bob Schiendler. Il primo ha sempre sostenuto che la moglie, prima dell’infarto che l’ha resa celebrolesa, non avrebbe mai voluto vivere in quel modo. I secondi, del parere opposto, sono convinti che Terry manifestasse voglia di vivere e che ci fosse ancora qualche speranza di miglioramento. Ecco le principali tappe di una lunga vicenda che, secondo i “movimenti per la vita” americani ha portato “all’esecuzione” di Terry.

1990.

Il 25 febbraio Terry ha un collasso in casa per uno squilibrio del potassio e le si ferma il cuore quanto basta per provocare danni irreparabili al cervello che la lasciano in stato vegetativo.

1992.

Michael Schiavo vince una causa di ‘malpractise’ contro i medici che hanno malcurato la moglie per un totale di un milione di dollari di risarcimento.

1993.

Il 14 febbraio Michael e i genitori di Terry hanno uno scontro sui fondi del risarcimento e l’assistenza ricevuta dalla donna. Michael Schiavo inserisce l’ordine ‘Do not Resuscitate’ (non rianimare) nella cartella medica di Terry e il 29 luglio gli Schindler chiedono in tribunale di togliergli la tutela legale. La richiesta è negata nel 1994.

1998.

In maggio Michael chiede di rimuovere il tubo dell’alimentazione artificiale.

2000.

L’11 febbraio il giudice Greer accoglie la richiesta di rimuovere il tubo.

2001.

Il 24 gennaio la Corte d’Appello conferma la decisione di Greer. Greer fissa al 20 aprile la data per il distacco. La Corte Suprema della Florida rifiuta di intervenire. Il 24 aprile il tubo è staccato, ma due giorni dopo il giudice Frank Quesada ordina di reinserirlo. Schiavo ricorre in appello, la Corte d’appello rimanda il caso a Greer. Greer dà ragione a Michael e gli Schindler tornano in appello con la testimonianza di sette medici che sostengono che Terry può riprendersi. Il 3 ottobre la Corte d’appello rinvia il distacco del tubo.

2003.

Il 6 giugno il Secondo Distretto della Corte d’Appello convalida la sentenza di Greer di staccare il tubo. Il 7 ottobre il governatore Jeb Bush chiede a una corte federale che Terry sia tenuta in vita, ma la sua mozione viene respinta. Il 15 ottobre i medici rimuovono il tubo. In extremis il 21 ottobre il parlamento statale approva la prima cosiddetta ‘Legge Terry’ che autorizza Bush a intervenire. Bush ordina che il tubo sia riattaccato. I medici obbediscono. Il 2 dicembre un esperto indipendente stabilisce che “non c’è ragionevole speranza” che Terry migliori.

2004.

Il 23 settembre la Corte Suprema della Florida decreta che la ‘Legge Terry’ è incostituzionale. Il 22 ottobre Greer rifiuta un nuovo processo chiesto dagli Schiendler sulla base delle affermazioni di Papa Giovanni Paolo II secondo cui negare alimenti e idratazione a un disabile costituisce peccato. La decisione è confermata in appello.

2005.

La Corte Suprema di Washington rifiuta in gennaio di esaminare un appello del governatore Bush. Il 21 febbraio scadono i termini per la rimozione del tubo ma il giudice Greer autorizza una serie di rinvii, l’ultimo fino alle 13 del 18 marzo. Il 10 marzo Greer respinge un rinvio chiesto dallo stato della Florida e il 16 la Corte d’Appello si rifiuta di fermare la rimozione del tubo. La Camera dei Rappresentanti passa una legge per tenere Terry in vita e così fa anche il 17 marzo la Camera dello stato della Florida ma non il Senato e il provvedimento statale finisce su un binario morto.
Battaglie legali, la convocazione da parte di una Commissione del Congresso, poi il parere definitivo del giudice della Florida Greer che ha acconsentito a staccare il tubo che alimentava Terry.

18 marzo 2005.

Terry viene disintubata.

31 marzo 2005.

Terry muore.

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