La travagliata vicenda di Terry Schiavo, ha riaperto in tutto il mondo il dibattito sull’eutanasia, ossia sulla possibilità o meno di procurare una “dolce morte” in un paziente affetto da patologie dolorose e incurabili. Da una parte ci sono quelli che considerano la vita non solo un diritto, ma anche un dovere. Dall’altra quelli che sostengono che l’uomo deve poter disporre liberamente della propria vita e della propria morte. Casi come questi sono sempre più numerosi in tutto il mondo, anche se la cronaca tende a portare alla luce solo quelli più eclatanti come quello di Terry dove tra l’altro non sono mancati elementi di folklore all’americana (come l’uomo che ha offerto 1 milione di dollari al marito della donna per comprare il di lei “diritto alla vita”). Sull’eutanasia esiste molta confusione, vuoi per l’ambiguità del suo significato letterale (buona morte), vuoi per i diversi contesti in cui questa pratica è stata utilizzata.
Se per i greci l’eutanasia aveva senso solo come atto volontario (il classico suicidio valoroso alla Socrate) per i medici nazisti del progetto T4 è stata intesa come un “trattamento forzato” da somministrare a “un paziente” ritenuto incurabile e, naturalmente, senza alcuna voce in capitolo. La posizione attuale sembra avvicinarsi più a quella originaria greca (eutanasia come scelta volontaria del diretto interessato) anche se ci sono casi molto più problematici dove è un tutore legale a decidere, come ad esempio nel caso della Schiavo. In base a cosa infatti possiamo stabilire che una persona vuole porre fine alla propria esistenza, se non è più in grado di manifestare la propria volontà? Ponendo anche il caso che questa stessa persona, abbia precedentemente dato disposizioni in questo senso, possiamo davvero essere sicuri che in seguito non avrebbe potuto cambiare idea? Stati come il coma vigile, non escludono una qualche attività cerebrale e le attuali conoscenze mediche non permettono di sapere se esista ancora in questi pazienti un barlume di coscienza, di pensiero, che però non è fisicamente esprimibile.
Va detto che ci sono almeno due forme di eutanasia, quella passiva quando il medico si astiene dal praticare cure finalizzate a tenere ancora in vita il malato, quella attiva quando il medico causa, direttamente, la morte del malato. Nella casistica si tende a far rientrare anche il cosiddetto suicidio assistito, l’atto autonomo di porre fine alla propria vita compiuto da un malato terminale in presenza e con mezzi forniti da un medico. Il problema dell’eutanasia è sentito soprattutto nella nostra epoca perché si vive di più e ci sono farmaci e macchinari che, se non riescono a debellare del tutto una patologia, riescono comunque a mantenere in vita una persona. Come ha scritto Daniel Callahan si vivono: “Vite più lunghe e salute peggiore; malattie più lunghe e morti più lente; vecchiaia più lunga e demenza crescente”.
Fino a non molti decenni fa, la morte giungeva di solito abbastanza presto, o perché la malattia non poteva essere efficacemente contrastata, o perché insorgevano complicanze come infezioni polmonari che allora si rivelavano rapidamente mortali. La questione dell’eutanasia, se c’era, si poneva unicamente in una dimensione morale-religiosa e non certo giuridica. Oggi, l’interpretazione giuridica dell’eutanasia varia molto da paese a paese. In Italia, i principi religiosi del cattolicesimo e i valori morali dominanti hanno portato a una normativa piuttosto restrittiva che ha di fatto equiparato l’eutanasia all’omicidio (articolo 575 del codice penale), o all’omicidio del consenziente. L’idea di base è che la vita è stata donata da Dio, e solo lui può disporne. Come ebbe a dire Pio XII: “Per quanto concerne il paziente, egli non è padrone assoluto di se stesso, del proprio corpo, del proprio spirito. Non può dunque disporne liberamente. Per quanto riguarda i medici, nessuno al mondo, nessuna persona privata, nessuna umana pietà, può autorizzare il medico alla diretta distruzione della vita; il suo ufficio non è di distruggere la vita ma è di salvarla”.
Non tutte le chiese cristiane la pensano così: diverse chiese protestanti hanno assunto posizioni più liberali, e alcune chiese minori riconoscono apertamente il diritto dell’individuo di disporre della propria vita. Per i valdesi l’eutanasia è “un diritto che va riconosciuto”. In Italia, comunque, non sono mancati e non mancano i tentativi di rimodernare la normativa in materia. Il primo parlamentare a presentare una legge per disciplinare l’interruzione delle terapie ai malati terminali è stato Loris Fortuna nel 1984, già sostenitore della legge sul divorzio. Inoltre, l’importanza assunta dal tema dell’eutanasia presso l’opinione pubblica italiana negli ultimi tempi, ha spinto all’iniziativa diversi parlamentari. Nel corso del ‘99 l’Ulivo ha presentato una proposta di legge concernente “disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Il 13 luglio 2000 lo stesso Ministro per la Sanità Veronesi ha affermato che “l’eutanasia non è un tabù” e che una soluzione al problema deve essere trovata in tempi brevi. Nel frattempo anche il Consiglio Comunale di Torino ha votato una risoluzione pro-eutanasia. Nell’agosto 2001 i Radicali hanno presentato una proposta di legge di iniziativa popolare dal titolo «Legalizzazione dell’eutanasia”.
In altri paesi come l’Olanda, dove è da tempo possibile optare per l’eutanasia passiva, il dibattito sull’ammissibilità dell’eutanasia attiva è sempre più vivace. Proprio in Olanda la Royal Dutch Medical Association, l’associazione dei medici olandesi, ha rivisto nel 1995 la normativa che regola la pratica medica, sottolineando l’importanza della responsabilizzazione del paziente, che generalmente pone fine da sé alla sua vita assumendo in dose eccessiva i farmaci prescritti dal medico (“suicidio assistito”). Un altro Stato dove di recente è stata introdotta un’innovativa legislazione che consente il suicidio assistito da un medico è l’Australia. Negli USA, la Corte Costituzionale Federale ha sancito il diritto di ciascun Stato a poter emanare nuove leggi in proposito; soltanto lo Stato dell’Oregon ha legiferato per la liceità e legalità dell’eutanasia. I problemi che restano aperti sono naturalmente molti.
Riconoscere l’eutanasia individuale passiva non consensuale non significa infatti legittimare quella collettivistica, chiamata talvolta a giustificazione dello sterminio nazista. Non dovrebbe neanche implicare il mettere qualcuno nelle condizioni di decidere della vita di un’altra persona. È indubbio però che quelli che considerano sacra e inviolabile la vita, oltre che la libertà individuale, ritengano ingiusto lasciar decidere a terzi della vita di una persona, anche se sospesa tra la vita e la morte. Molti, inoltre, ritengono che oggi, per quanto vietata, l’eutanasia individuale venga largamente praticata.
Terry Schiavo, la donna della Florida a cui il 18 marzo scorso è stato staccato il tubo che l’ alimentava dal 1990 è stata per dodici anni al centro di una battaglia legale che ha opposto il marito Michael Schiavo ai genitori Mary e Bob Schiendler. Il primo ha sempre sostenuto che la moglie, prima dell’infarto che l’ha resa celebrolesa, non avrebbe mai voluto vivere in quel modo. I secondi, del parere opposto, sono convinti che Terry manifestasse voglia di vivere e che ci fosse ancora qualche speranza di miglioramento. Ecco le principali tappe di una lunga vicenda che, secondo i “movimenti per la vita” americani ha portato “all’esecuzione” di Terry.