L’abilità al posto della disabilità

Autori:Redazione

Data: 01/06/03

Rivista: giugno 2003

Un signore di quarantacinque anni, Marco V., dopo essere stato sottoposto a visita per il riconoscimento dell’invalidità, ha scritto ad un quotidiano romano per esporre il proprio caso e formulare una domanda: «Sono stato dichiarato invalido al 100% sommando le mie diverse patologie. È vero, ci vedo poco, ho difficoltà di udito e sono stato anche colpito da una paresi, ma nonostante ciò non sono affatto incapace di fare normalmente tantissime cose. Allora chiedo: che cosa si può fare per vedersi riconosciute anche da disabile le proprie capacità, senza usurpare diritti altrui?»

Pronta la risposta del sottosegretario Antonio Guidi sullo stesso giornale. «La lettera del signor Marco V. che può apparire paradossale (un disabile si lamenta di aver avuto “troppa invalidità” quando tantissimi ne vogliono sempre di più), pone in luce un argomento di straordinaria importanza da molto tempo, e quindi non solo in questo “anno europeo della disabilità”, al centro di un’attenzione internazionale: quello dell’accertamento e quantificazione dell’invalidità. Sino ad oggi, la procedura vigente nel nostro Paese ha sviluppato in sé due costanti: la lunghezza dei tempi tra la richiesta e l’accertamento; la visita, durante la quale spesso l’attenzione sembra essere rivolta più alle carte che alle persone, e sempre nell’ottica di sommare “le incapacità”. Questa impostazione, che non riflette soltanto una cognizione tecnica del problema, dovrebbe essere finalmente soppiantata.

Infatti, grazie a una nuova corrente culturale applicata anche nel campo scientifico, medico-legale e sociale, e grazie ancor di più all’autorevolissima voce dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è stato varato l’ICF (Classificazione Internazionale della Funzionalità), un nuovo metodo di valutazione per l’accertamento della condizione di disabilità, che rivoluziona il concetto di invalidità: dalla valutazione dell’invalidità alla costruzione di un vero e proprio progetto di vita.

Contemporaneamente, e questa è la rivoluzione concettuale, si chiede di valutare le capacità residue o potenziali. Residue, cioè quelle che la persona, seppur disabile, già possiede e che, unitamente al grado di istruzione e/o esperienza di lavoro gli permettono di “fare”. E quelle potenziali, nel senso che attraverso decisivo aiuto, che può essere una protesi o una formazione professionale consentono un salto di livello consistente nelle attività quotidiane e la piena partecipazione nella vita sociale. Inoltre va rimarcato che, mentre il sistema della somma delle incapacità si presta (per il suo concetto stesso di negatività) a una mancanza di trasparenza, la nuova concezione garantisce la trasparenza dal punto di vista medico-legale e non si presta ad abusi e dà finalmente l’idea di una disabilità al positivo. Poter vedere quello che sai fare è l’anticamera perché la cosa stessa venga fatta. Un processo di cambiamento culturale dunque che tutti, dalle associazioni all’OMS, al ministero del Welfare e della Salute, vogliono portare a compimento, perché essenziale anche per l’abbattimento dell’ennesima barriera dettata dal pregiudizio, cioè che l’invalidità è sempre sinonimo di incapacità.»

Il testo dell’ICF è scaricabile dal sito: www.who.int/classification/ic.

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