Di tanto in tanto nelle nostre pagine ospitiamo un poeta, uno tra di noi che tenta di mettere le proprie esperienze e propri sentimenti, il proprio dolore o la gioia, la propria storia o le speranze in pochi versi, ritmati o no, intrisi di significati profondi, a volte appena percettibili dalla nostra mente sempre di corsa. Questa volta presentiamo i lavori di tre poetesse, Vanessa, Sara e Angela, assolutamente sconosciute ma non per questo meno leggibili e autentiche nell’esprimere il proprio disagio di essere e la propria solitudine.
Qui alla stazione
un giorno grigio come me
malgrado l’accesso rosso
e il blu elettrico
rimango fantasma fra altri fantasmi
e l’individualismo si fa
altissimo
bassissimo
ovunque
e rimane solo quel grido negli occhi
nel grigio più interno e più esterno
un lamento troppo presente
come quella volta che ho pensato
“madre perché mi hai dato voce”
Il vento mi asciuga la fronte
non più lacrime ma solo sudore
non quello dell’uomo nei campi
né la fatica della partoriente
ma solo il ridicolo tentativo
di rimettersi in piedi
coi denti da latte in bocca
Sono un angelo che cade
Senza dio che mi raccolga
Temevo due cose da bambina
la solitudine e la morte.
dopo che la prima
è divenuta condizione naturale
la seconda risulta essere
scelta obbligata
Troppe sigarette sparse avanti a me
e nello stomaco troppo caffè
Nella mente labile un grave richiamo
è il cimitero che mi prende per mano
Abbracciami signora
prendimi per mano
cala il sipario
e fammi piangere
nel punto dove un filo bianco
assomiglia troppo ad uno nero
La maschera
In un giorno di settembre
ho visto un uomo vagare nel nulla,
i suoi occhi esprimevano un senso di confusione…
E di paura.
Le altre persone passeggiavano,
vedevano i negozi, le macchine viaggiavano,
e tutto, però, sembrava essere estraneo a lui.
Si trattava, forse, di un fantasma in mezzo a degli uomini,
un granello di sabbia sul fondo del mare.
Nessuno poteva – né può – cogliere l’amarezza di quell’uomo:
amarezza di essere stato un qualcuno che in realtà non è stato.
Amarezza per non aver trovato quello che cercava.
Cercava, in fin dei conti, se stesso…
Ma non si è trovato.
Si è imbattuto in un burrone
ed ora, dal fondo, riesce a vedere
solo una cima color pece.
Lui poteva, ma non volle:
nascose a se stesso quello che era.
Invece ora è un fantasma che aspetta solo
l’ultimo respiro lo lasci sprofondare
in un sonno profondo…
Senza risveglio.