L’atrocità del silenzio

Data: 01/04/04

Rivista: aprile 2004

Attualmente nel modo ci sono 37 guerre: 17 sono in Africa. Davanti a un’affermazione del genere siamo tutti assaliti dai sensi di colpa perché questi conflitti troppo spesso iniziano, fanno i loro morti e finiscono senza che noi ne sappiamo nulla, coperti da una cortina di colpevole silenzio.

Eppure le nostre città sono ormai multirazziali e tutti i giorni ognuno di noi incontra sul treno, per strada, al supermercato, insomma dovunque, immigrati extracomunitari e tra questi anche tanti, tantissimi africani. Al telegiornale non possono sfuggirci le storie dei tanti che arrivano sulle coste siciliane con quelle bagnarole riempite fino all’inverosimile da scafisti senza scrupoli. Possibile che non ci chiediamo quale sia la loro storia, che non ci interessi sapere chi sono, da dove vengono e soprattutto da cosa scappino questi giovani uomini e donne africani?

Quello che ci manca veramente, e che probabilmente faciliterebbe la convivenza e la fine di fenomeni come il razzismo, è la conoscenza della storia e delle problematiche dei paesi africani. Manca una vera cultura su questi temi: non basta sapere che in Africa ci sono tante guerre, che si muore di fame e che l’AIDS è una piaga dilagante. E non basta nemmeno dare tutta la colpa ai mass media. Se i giornali non parlano delle guerre africane non sarà forse perché a nessuno di noi interessano?! Se L’Adige da domani iniziasse a dedicare 4 pagine ai conflitti in Sudan, Burundi, Congo, etc. e smettesse di parlare delle nostre piccole faccende di provincia, lo compreremmo ancora?!

Chiediamoci in prima battuta, ma cosa ne sappiamo noi dell’Africa? In Italia, come nel resto del mondo, se ne sa veramente poco. Prendiamo in considerazione un caso particolare, quello della Costa d’Avorio. Prima cosa: dove si trova questo Stato? Siamo sinceri, pochi saprebbero rispondere con precisione. La Costa d’Avorio, una repubblica presidenziale dell’Africa Occidentale, è un’ex colonia francese indipendente solo dal 1960 che si affaccia sull’Oceano Atlantico. Si parla il francese ma non solo. La religione più praticata è quella animista ma ci sono anche grandi comunità musulmane e cristiane. Le sue più grandi ricchezze sono le piantagioni di caffè e cacao dove, fin da prima della colonizzazione, arrivavano lavoratori dai paesi confinanti. Ma in Costa d’Avorio, è bene saperlo, ci anche giacimenti di petrolio. Dopo l’indipendenza, il primo presidente della Repubblica, Houphouet-Boigny, ha deciso di dare a tutti gli stranieri presenti sul territorio gli stessi diritti degli ivoriani. Capite subito che la Costa d’Avorio è diventato così un paese di tutti e di nessuno. Nonostante tutto per molti anni ha sperimentato una buona crescita economica, raggiungendo una stabilità anche politica, sempre sotto l’ala protettrice della Francia. Purtroppo nel 1988 il mercato del caffè e del cacao è stato colpito da una crisi e nel 1990 il presidente ha aperto la vita politica al multipartitismo, con conseguenze molto negative. Dopo la morte di Houphouet-Boigny viene istituito il permesso di soggiorno per gli stranieri e il diritto di voto solo per gli ivoriani, potete ben immaginare la reazione dei tanti stranieri presenti sul territorio da anni. Nel 1999 iniziano i disordini, che dopo un periodo di tregua, sono ripresi dal 2002. Le trattative per mantenere la pace sono sempre traballanti e il paese è perennemente sull’orlo della guerra civile.

Anche dopo l’indipendenza, la Costa d’Avorio è sempre rimasta legata fortemente alla Francia che controlla non solo la vita politica ma soprattutto quella economica.

Siamo portati a pensare che le guerre in Africa siano da ricollegare a lotte etniche ma in realtà non sono per niente diverse da tutte le altre guerre che occupano ogni giorno le prime pagine dei nostri giornali: dietro c’è sempre l’interesse economico di qualche grande potenza. In Costa d’Avorio gli interessi in questione sono quelli francesi. Insomma la Francia non è disposta a perdere la sua influenza sull’ex-colonia. La guerra che insanguina questa zona dal 1999 non è quindi religiosa, né etnica ma è una rivoluzione sociale. La Costa d’Avorio sta cercando di staccarsi definitivamente dalla Francia e di diventare una vera democrazia con un sistema economico indipendente. Ciò che gli ivoriani stanno cercando di affermare è che non si può impedire ad uno stato di modernizzarsi solo per poterlo continuare a sfruttare. E questa è la storia che con poche varianti si ripete anche negli altri paesi africani in guerra.

L’unico modo per rafforzare il continente africano è innalzare il senso di nazionalità, di responsabilità politica e istituzionale ma soprattutto il controllo delle risorse e della politica deve tornare in mano agli africani. La situazione migliorerebbe sotto molti punti di vista: innanzitutto si potrebbero risolvere le continue emergenze umanitarie che quelle sanguinosissime guerre provocano, si potrebbe permettere all’Africa di modernizzarsi aprendo così un mercato molto vasto e limitando i fenomeni migratori verso l’occidente.

Discorsi come questi purtroppo sono ancora utopia, pura utopia perché, come sempre, gli interesse di pochi potenti hanno la meglio su quelli di tanti poveri.

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