L’auto-arte terapia di Sibilla

Data: 01/05/00

Rivista: maggio 2000

Sibilla, chiamiamola così in omaggio all’Aleramo, è un’ospite fissa del Centro diurno di igiene mentale.

Arriva la mattina, a volte sul tardi, con la sua valigetta a rotelle supermoderna, abbigliata sportivamente, a volte con la bandana o con strane frange in fondo ai pantaloni, fatte da lei tagliuzzando la stoffa. Si piazza subito al tavolo da lavoro e inizia a tirar fuori carte e cartoncini, mozziconi di pastelli ad olio o tempere. Lavora meticolosamente, prepara i fondi su cui poi disegnerà, stende il colore con le dita, lo sguardo concentrato.

Io cerco sempre un rapporto con lei, che mi è simpatica.

L’altro giorno mi sono seduta al suo tavolo, facendole i complimenti per i suoi lavori ed è iniziato un dialogo semi-delirante. Io le raccontavo del mio tumore (vero) e lei diceva che ne aveva sofferto ugualmente (non credo sia vero).

Io le dicevo che ho un bambino indiano che aiuto a vivere, lei diceva che ne ha uno in Cina, ma che non ne ricordava il nome. Io dicevo che volevo organizzare una mostra dei suoi lavori, lei diceva che in quel caso sarebbe andata dall’estetista per rifarsi il look. L’operatrice le chiedeva se era vero che l’avevano vista dormire su una panchina del paese in cui vive. Lei rispondeva che non voleva moralismi sul suo operato, anche se l’operatrice diceva che era solo preoccupazione per la sua salute, non un giudizio di valore.

Rimaste sole, lei mi confida che si prostituisce, perché non ha soldi per la cena, visto che a mezzogiorno pranza gratuitamente al centro. So che non è vero, ma le do corda ed iniziamo a parlare della vita delle prostitute che probabilmente l’affascina.

La sua voce un po’ stridula mi diverte nella sua ironia. So che nella vita di Sibilla c’è un buco nero, un grave lutto, lei mi dice che è sola al mondo, che suo marito l’ha lasciata per un’altra, non mi dice niente della sua creatura, che probabilmente è morta di tumore, del suo passato, mi chiede solo della mia malattia, che ha dato i primi segni vent’anni fa’, come la sua sofferenza.

La lascio con la promessa che comprerò un po’ dei suoi lavori per regalarli a Natale alle mie nipotine. Lei mi risponde che sono fortunata perché lei a Natale invece sarà sola.

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