Alcuni articoli in tema di autolesionismo, pubblicati quattro anni fa su pro.di.gio., ricevettero un ottimo riscontro in termini di lettori: decine di e-mail riempivano ogni giorno la nostra casella di posta. Carlo propose allora di aprire un forum per dare ai sofferenti di questa patologia la possibilità di esprimere il proprio parere, di dare un giudizio, di raccontare un’esperienza. Da allora il successo è stato davvero grande: il forum, ormai prossimo ai 4000 contatti, è diventato un punto di incontro per tantissimi autolesionisti, genitori ed amici. In verità, la nostra soddisfazione è rimasta a lungo attenuata dal vedere tante opinioni e vicende personali, assolutamente veritiere e genuine, rimanere come intrappolate nel forum, fruibili solo dai suoi “abituè” o da occasionali navigatori.
Fortunatamente, però, ai primi di gennaio, se n’è interessata Vita Trentina. Parlando, infatti, in modo interlocutorio con un suo giornalista, Luigi Andreatta, abbiamo accennato al successo del forum. Egli, da abile scovatore di opportunità per articoli intelligenti, ha subito avvertito la potenzialità dell’argomento trasformandolo in due pagine piene del numero in edicola dal 15 gennaio.
Vita Trentina, con la sua autorevolezza e la forza della sua audience, ha saputo coinvolgere psicologi e psichiatri addetti ai lavori dai quali sono venute valutazioni e giudizi davvero interessante ed esaurienti. Ne abbiamo approfittato per chiedere al responsabile del giornale l’autorizzazione a riprendere alcuni spunti dall’intervista al dottor Valerio Costa, esperto di disagio giovanile e ora responsabile della comunità per giovani con problemi legati al comportamento alimentare. Ecco qui le chiare e comprensibili risposte con cui ha dato conto della malattia, della sua genesi e di quanto, fuori dal circuiti della medicina ufficiale, sia possibile fare da parte dei genitori.
Ugo Bosetti
L’autolesionismo è un segnale da non trascurare anche nei giovani trentini. Fra gli addetti ai lavori i commenti raccolti dal periodico pro.di.gio. sul proprio sito non sono passati inosservati. “Sono comunque convinto che i sintomi come le forme di autolesionismo descritte o minacciate in Internet siano sempre meno gravi del disagio che nascondono. È su questo che dobbiamo interrogarci”. Il dottor Valerio Costa, pioniere della lotta alle tossicodipendenze in Trentino, esperto di disagio giovanile e ora responsabile della comunità per giovani con problemi legati al comportamento alimentare, offre un contributo all’approfondimento avviato da Vita Trentina.
Dottor Costa un po’ di chiarezza terminologica sul fenomeno dell’autolesionismo: Può essere interessante notare che esso esiste anche nel mondo animale come reazione a situazioni di fame o di cattività mentre la storia si presenta casi di autolesionismo come forma di coraggio (si pensi a Muzio Scevola), di iniziazione virile o anche di sacrificio religioso. A volte è reazione a forme di vita intollerabili come è avvenuto per i detenuti e giovani in servizio militare.
Più diffusa è invece la situazione psicologica emersa dai partecipanti al Forum di pro.di.gio. Sì, in questi casi il provocarsi i tagli o lesioni va interpretato spesso come il tentativo di spostare sulla superficie del proprio corpo un insopportabile angoscia, un malessere interiore. In questo modo si vorrebbe anche attirare l’attenzione di chi sta attorno sul suo disagio al quale si cerca di dare visibilità.
Alcune motivazioni scritte nel sito lasciano perplessi. Dovremmo leggerle in profondità. L’autolesionismo è un sintomo, così come altre forme di dipendenze quali l’alcol, la droga e il gioco d’azzardo che si presenta come una maschera che il soggetto decide di indossare davanti agli altri. Vuole così nascondere la sua incapacità di conquistare qualcosa, spesso la sua identità adulta, e la frustrazione per non esserci riuscito.
Quali fattori pesano maggiormente su queste persone? Possono esserci fattori predisponenti anche di tipo genetico (i gemelli morosi dotti hanno più probabilità di soffrire lo stesso sintomo rispetto a quelli eterozigoti) o legati alla personalità o anche a fattori di tipo biologico ma non portato a ritenere ancora più decisivi fattori di tipo socio culturale o psicorelazionale.
Sta pensando ai modelli giovanili tipo “Barbie” imposti dai media, dalla moda o dalla pubblicità che si impongono alle ragazze… e guai a chi non si adegua? Esatto. Un adolescente viene portata a nascondere il proprio vero “Sé” per cercare di offrire all’esterno un “Sé” falso, modellato su quello atteso dagli altri ed ai modelli culturali in volta. Ad un certo, questa continua falsificazione del “Sé” diventa insopportabile, sfocia in una ribellione, in una malattia, in un rapporto sbagliato col cibo. Una dipendenza alla quale ci si affeziona perché diventa quasi un’armatura con la quale continuare a difendersi. In verità, in quel momento si è deciso di arrendersi, ci si rifugia in se stessi e si rinuncia a combattere. Per questo l’intervento terapeutico nei casi di situazioni sempre diverse ma legati all’anoressia e alla bulimia punta proprio cercare di rompere lentamente questa corazza (spesso caratterizzata da un senso di onnipotenza o, al contrario, di impotenza) per ritrovare un rapporto sereno con il proprio corpo, con se stesso e con gli altri.
Lei sottolinea l’importanza di imparare a gestire le emozioni fin dall’adolescenza? Credo che l’eccessivo controllo dei propri comportamenti possa essere pericoloso, se porta a rimuovere i bisogni e aggressività. Bisogna fare i conti con le proprie emozioni, saperle esprimere, gestire. Ai genitori dico sempre: meglio ragazze turbolente che troppo chiuse, controllate, perfettine con se stesse e con gli altri.
L’adolescenza è una tappa molto temuta. Rappresenta un momento delicato, sofferto, in cui il ragazzo si allontana dal modello genitoriale per costruire gradualmente un proprio modello personale: è come una nuova rinascita, un passaggio importante.
Ai genitori cosa resta da fare? In questa fase devono potenziare la capacità di ascolto dei loro figli. Può essere anche un ascolto silenzioso, un semplice stare accanto. In questi anni decisivi i figli non hanno bisogno di essere giudicati ma piuttosto di essere accettati e ascoltati. Devono sapere quale sono le regole, i valori importanti per i genitori ma vogliono mettere alla prova, riscoprirli da solo. Per questo io ai genitori raccomando sempre ascolto, amore per i propri figli e soprattutto esempio, testimonianza coerente. Allora potranno essere un riferimento credibile in questa fase di ricostruzione.