Lo scorso 22 ottobre la Polonia ha assistito a un inasprimento della legge contro l’aborto del 1993, che prevedeva l’interruzione della gravidanza solo in caso di gravi malformazioni del feto, pericolo di vita e per la salute delle donna o, ancora, in caso di violenze sessuali o altri atti illeciti.
La Corte Costituzionale si è espressa in merito a questa legge, definendola “incostituzionale”, poiché violerebbe la disposizione che protegge il diritto alla vita. L’entrata in vigore della nuova legge ostacolerà fortemente l’accesso all’interruzione della gravidanza, che sarà possibile e legale solo in caso di stupro e pericolo grave per la salute della donna.
La nuova disposizione di legge può essere interpretata ben oltre che come una semplice limitazione al libero esercizio di un diritto, relativo alla salute riproduttiva e sessuale delle donne, quanto piuttosto come un vero e concreto divieto all’aborto. In Polonia, infatti, bisogna considerare che il 98% dei casi di interruzione legale della gravidanza avviene quando sussistono gravi malformazioni genetiche del feto, mentre solo il restante 2% è relativo a un’interruzione legata a motivi di stupro.
Le proteste contro questa decisione sono andate avanti per quasi un mese. Ancora una volta, lo Sciopero nazionale delle donne (Ogólnopolski Strajk Kobiet) organizza cortei, blocchi stradali e sit-in in tutta la Polonia, affiancato da studenti, movimenti LGBT, personale sanitario, disabili e sindacati. Da Varsavia a Danzica, passando per Wrocław, Cracovia e tante altre città, migliaia di persone sfilano per le strade e il Paese è in fermento. Dai balconi delle “zone rosse” per il Covid sventolavano lenzuola bianche su cui le donne rivendicano il diritto negato di poter interrompere le gravidanza in caso di gravi malformazioni del feto, e gruppi di madri con i passeggini sfidano il coprifuoco bloccando il traffico di Varsavia.
Le manifestazioni non si sono fermate in Polonia, ma hanno coinvolto migliaia di uomini e donne polacche che, anche in diverse parti d’Europa, si sono esposti in difesa dei diritti, ingiustamente calpestati dalle recenti scelte politiche e giuridiche.
Il governo polacco guidato dal partito di destra Diritto e Giustizia (PiS) è stato rallentato dalle proteste di massa. L’esecutivo, infatti, dopo le mobilitazioni non ha ancora fatto entrare in vigore la sentenza che avrebbe aggiunto maggiori restrizioni al diritto di aborto, ma il governo non ha mai pubblicato la sentenza in Gazzetta ufficiale, nonostante avesse annunciato di farlo il 2 novembre.
Il 3 novembre Michal Dworczyk, capo dell’ufficio del Primo Ministro Mateusz Morawiecki, ha riferito che i leader stanno prendendo tempo per discutere una sentenza e trovare una soluzione: “È in corso una discussione e sarebbe bene dedicare un po’ di tempo al dialogo e alla ricerca di una nuova posizione in questa situazione che è difficile e suscita forti emozioni”. Di fronte alla grande rabbia e combattività della piazza, il governo conservatore di Morawiecki (PiS) sta quindi prendendo tempo. Il premier il 5 novembre ha chiesto di avere colloqui con i manifestanti e con l’opposizione.