LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI

Le mutilazioni genitali sono una violenza che rientra nelle tante forme di maltrattamento subite dalle donne. Esse non determinano alcun vantaggio sul piano medico, anzi, chi le subisce è costretto ad affrontare complicazioni a breve termine, come dolori e infezioni, nonché conseguenze a lungo termine per la salute riproduttiva e psicologica. 

Un fenomeno considerato, a livello internazionale, una violazione dei diritti umani di milioni di ragazze nel mondo, poiché lede i diritti alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica, così come il diritto alla vita quando la pratica ha conseguenze letali. 

 

Un problema universale

Anche se sono praticate principalmente in 30 Paesi di Africa e Medio Oriente, le mutilazioni genitali femminili rappresentano un problema per il mondo intero, perché persistono anche in alcuni Stati dell’Asia e dell’America Latina, nonché tra alcune popolazioni che vivono in Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda. Abolirle è uno degli ‘Obiettivi di sviluppo sostenibile’ dell’Onu per il 2030.

“Le ragioni per cui queste mutilazioni vengono inflitte a moltissime bambine, donne e ragazze sono tante e molto diverse a seconda delle zone in cui vengono praticate”, spiega Paola Magni, responsabile dei programmi di contrasto alle mutilazioni genitali femminili per AMREF, organizzazione sanitaria presente in 35 Paesi dell’Africa a sud del Sahara. “Nelle zone in cui operiamo, sono dei processi identitari, che fanno parte della cultura di queste comunità e in qualche modo rappresentano il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Molto spesso questo comporta il matrimonio precoce, perché dopo aver subito la mutilazione, la ragazza viene data in sposa e non prosegue più il percorso scolastico, annullando ogni possibilità di sviluppo come persona”.

 

Mutilazioni aumentate durante il lockdown

Nel 2020, purtroppo, il confinamento a casa, come misura di contrasto alla diffusione del Covid-19, ha portato ad aumentare di 1,4 milioni il numero delle bambine vittime. L’effetto collaterale della pandemia ha portato alla chiusura delle scuole, all’isolamento domiciliare, oltre che all’aumento dei matrimoni forzati al di sotto dei 16 anni. Inoltre, di fronte alla crisi economica, chi in passato effettuava escissioni ha visto l’opportunità di tornare a praticarle per procurarsi del denaro. “Il Covid ha costretto le persone a stare a casa”, aggiunge la responsabile di Amref”, e quindi ha facilitato il proseguire di questa pratica e, come se non bastasse, c’è stato un blocco dei programmi di prevenzione. Quello che serve nella lotta alle mutilazioni genitali femminili sono finanziamenti, sensibilizzazione, consapevolezza del fenomeno e, soprattutto, operare con le comunità”.

 

Il fronte internazionale e quello italiano

Circa 200 milioni di donne convivono al giorno d’oggi con una mutilazione genitale. Anche in Italia sono presenti circa 70.000 donne che hanno subito questa pratica nel loro Paese d’origine. “Le mutilazioni genitali femminili sono spesso difficili da rilevare. Spesso le donne che hanno subito una mutilazione non lo dichiarano spontaneamente per vergogna, per paura di sentirsi giudicate o perché non ritengono rilevante parlarne, in quanto ritenuta una pratica normale nel loro Paese”, spiega Alice Sorz, ostetrica-ginecologa dell’IRCCS Burlo Garofolo. Questa violenza, infatti, nei Paesi dove viene attuata, viene vista come un rito di passaggio che permette di entrare a far parte della comunità. Ci sono, inoltre, false credenze: si pensa che il clitoride possa crescere a dismisura rendendo la donna incline al tradimento, o che gli organi genitali ‘aperti’ siano sinonimo di sporcizia, mentre quelli cuciti sono visti come puliti e attraenti.

 

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