Le Otto Montagne

Data: 01/08/17

Rivista: agosto 2017

Categoria:Accessibilità e mobilità

Nato a Milano nel 1978, l’autore Paolo Cognetti vive fino ai 30 anni nel frenetico e grigio capoluogo lombardo che decide di abbandonare per rifugiarsi in una baita vicino a Brusson nella Val d’Ayas, in Valle d’Aosta. «La montagna è un luogo che mi appartiene fin da piccolo – racconta Cognetti – poi l’ho dimenticata per un po’. Trovare un luogo dove stare dà un senso al tuo essere al mondo. Diventi più forte e capisci un po’ meglio il senso del tuo lavoro e della tua scrittura». Ed è proprio la montagna a far da protagonista e sfondo di questo romanzo definito dai più un classico, con trama lineare sebbene articolata su più livelli di lettura e di interpretazione. Qui l’autore volutamente sceglie una scrittura semplice e curata, a tratti evocativa. Sfrutta uno stile narrativo che si sposta dal racconto, al romanzo, al diario di viaggio fino a toccare in alcuni punti la poesia e il documentario; uno stile in cui è senza dubbio forte l’influenza delle sue innumerevoli letture e delle sue esperienze personali. Lo stesso Cognetti dichiara che:« L’infanzia del mio protagonista è quasi un’autobiografia ma poi il romanzo, in maniera un po’ misteriosa, prende una sua strada». Infatti, se la narrazione inizia con il protagonista bambino, che nei periodi estivi si rifugia con la famiglia alle pendici del Monte Rosa, ad un certo punto fa un salto temporale raggiungendo il protagonista a trentun anni alle prese con la morte del padre, l’eredità di un pezzo di terra ad alta quota ed il recupero del rapporto d’ amicizia con Bruno, un bambino del posto, interrotto quindici anni prima. Da questo punto in poi un susseguirsi in maniera frenetica di emozioni, esperienze, ricordi, sentimenti contrastanti, sullo sfondo di un habitat fantastico a tratti ostile, che offre al protagonista la possibilità di raccontare le difficoltà dei legami affettivi, la ricerca degli stessi attraverso la riscoperta della solitudine e la ricostruzione di ciò che sembrava essersi rotto irreparabilmente attraverso l’edificazione di qualcosa di fisico, proprio come una baita.

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