Ormai da cinquant’anni in coda alle Olimpiadi normali ossia dei normodotati (puah… ma chi mette in circolazione questi termini?) si svolgono anche quelle dei disabili. Qualcuno ha trovato da ridire: Paolo Villaggio, il popolare ragionier Ugo Fantozzi di tanti film! Ecco qui a seguire le sue perle: «La paralimpiadi di Londra fanno molta tristezza, non sono entusiasmanti, sono la rappresentazione di alcune disgrazie e non si dovrebbero fare perché sembra una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia». L’ha detto Paolo Villaggio a La Zanzara su Radio 24. Poi continuando: «Non fa ridere una partita di pallacanestro di gente seduta in sedia a rotelle io non le guardo, fa tristezza vedere gente che si trascina sulla sedia con arti artificiali. Mi sembra un po’ fastidioso, non è divertente». Ancora: «Ce n’è una, cieca, che fa i duecento metri in pista. Dicevano che si allena con due persone a fianco che le dicono dove andare. Tanto vale allora correre col bastone». Infine: «La mia non è crudeltà ma è crudele esaltare una finta pietà. Questo è ipocrita. Sembrano Olimpiadi organizzate da De Amicis con dei “personaggini”».
Disabili e non hanno immediatamente risposto per le rime all’attore e questo giornale, fatto da disabili per se stessi e per “tutti gli altri”, non poteva esser da meno:
Caro rag. Fantocci, chi le ha mai detto che le Olimpiadi devono divertire? Forse che Lei le guarda per spasso, come si vede un film di Totò, Stanlio e Ollio o di Paolo Villaggio?
Perché le Paraolimpiadi non si guardano per ridere e divertirsi ma per ammirare la forza e l’impegno di atleti veri con handicap veri di fronte alle barriere fisiche: devono entusiasmare, emozionare, portarti a tifare, quasi a partecipare.
E poi, rag. Bambocci, perché bisognerebbe ridere di un incontro di basket? Sappia che una tale partita in carrozzina può essere bella o brutta esattamente come qualsiasi altra, si tratti di basket, pallavolo, corsa, ecc… In più, a volte, può essere bellissima. Provare per credere! Personalmente ne ho visto due, una tra Colombia e Stati Uniti, tirata fino all’ultimo canestro e l’altra tra Cina e Stati Uniti in cui gli atleti hanno profuso una grinta incredibile: continui cambiamenti di campo, rincorsa di ogni palla, cadute a terra e rapidi ritorni in assetto da gara da soli. Quanto alla “cieca che fa i duecento metri in pista”, credo si riferisca alla signora Minetti, Le ricordo che detto “personaggino alla DeAmicis” (ma le sta sulle palle anche l’Edmondo?) ha lavorato nella moda, è stata cantante di un certo successo (festival di San Remo), è diplomata ragioniera (come Lei, rag. Imbranatozzi) ed è mamma: non male, crede?
Lo spettacolo erano gli atleti stessi e il loro impegno: non ci vuole molto a capire che nel caso delle Paraolimpiadi lo spettacolo è un pretesto per eliminare le barriere sociali che rendono difficile la vita ad una fetta di Suoi concittadini (noi umili sfigati) e insegnare che nella società c’è posto per tutti, disabili inclusi: se non l’ha capito allora è proprio Lei da compatire!
Probabilmente a caratterizzare certi suoi imbarazzanti atteggiamenti, disistimato Rag. Bacherozzi, è una mal celata e pelosissima compassione, un pietismo tanto inopportuno quanto pesantemente offensivo derivato dalla falsa e odiosa convinzione che la vita di un uomo o di una donna con handicap debba per forza essere triste, insoddisfacente, misera, grigia e quasi sprecata. Una vita priva di tutto ciò che invece un uomo dovrebbe considerare costitutivo della propria felicità: indipendenza, stimoli, vita sociale, carisma, attrattiva, bellezza, successo lavorativo, sportivo e sentimentale, competenza professionale. Per fortuna non è così. sennò saremmo tutti come Lei, il vero Fantozzi.
Un’ultima annotazione, Rag. Pupazzi: come ha fatto Lei, il patrono di tutti gli sfigati d’Italia, a precipitare in banalità del genere? Lei che ha sempre “cavalcato” sfigati in TV, nei libri e al cinema? Si è mai chiesto cosa avrebbero pensato delle sue esternazioni i tanti perdenti che, bisognosi di conforto, riempivano i cinema facendo di Lei un riccone?
Nietzsche scriveva che non c’è cosa peggiore della compassione perché, avendo noi compassione degli altri, ci eleviamo, ci sentiamo superiori rispetto a quelli messi peggio di noi. Se la sua è di tal tacca, allora, caro rag. Petolozzi, ce la risparmi: non ci servono parole né intinte nella vasellina né nel veleno né, meno di tutte, nella (sua) compassione: siamo in grado di arrangiarci senza!