«Le Paralimpiadi fanno tristezza, esaltano le disgrazie»

Data: 01/10/12

Rivista: ottobre 2012

Ormai da cinquant’anni in coda alle Olimpiadi normali ossia dei normodotati (puah… ma chi mette in circolazione questi termini?) si svolgono anche quelle dei disabili. Qualcuno ha trovato da ridire: Paolo Villaggio, il popolare ragionier Ugo Fantozzi di tanti film! Ecco qui a seguire le sue perle: «La paralimpiadi di Londra fanno molta tristezza, non sono entusiasmanti, sono la rappresentazione di alcune disgrazie e non si dovrebbero fare perché sembra una specie di riconoscenza o di esaltazione della disgrazia». L’ha detto Paolo Villaggio a La Zanzara su Radio 24. Poi continuando: «Non fa ridere una partita di pallacanestro di gente seduta in sedia a rotelle io non le guardo, fa tristezza vedere gente che si trascina sulla sedia con arti artificiali. Mi sembra un po’ fastidioso, non è divertente». Ancora: «Ce n’è una, cieca, che fa i duecento metri in pista. Dicevano che si allena con due persone a fianco che le dicono dove andare. Tanto vale allora correre col bastone». Infine: «La mia non è crudeltà ma è crudele esaltare una finta pietà. Questo è ipocrita. Sembrano Olimpiadi organizzate da De Amicis con dei “personaggini”».

Disabili e non hanno immediatamente risposto per le rime all’attore e questo giornale, fatto da disabili per se stessi e per “tutti gli altri”, non poteva esser da meno:

Caro rag. Fantocci, chi le ha mai detto che le Olimpiadi devono divertire? Forse che Lei le guarda per spasso, come si vede un film di Totò, Stanlio e Ollio o di Paolo Villaggio?

Perché le Paraolimpiadi non si guardano per ridere e divertirsi ma per ammirare la forza e l’impegno di atleti veri con handicap veri di fronte alle barriere fisiche: devono entusiasmare, emozionare, portarti a tifare, quasi a partecipare.

E poi, rag. Bambocci, perché bisognerebbe ridere di un incontro di basket? Sappia che una tale partita in carrozzina può essere bella o brutta esattamente come qualsiasi altra, si tratti di basket, pallavolo, corsa, ecc… In più, a volte, può essere bellissima. Provare per credere! Personalmente ne ho visto due, una tra Colombia e Stati Uniti, tirata fino all’ultimo canestro e l’altra tra Cina e Stati Uniti in cui gli atleti hanno profuso una grinta incredibile: continui cambiamenti di campo, rincorsa di ogni palla, cadute a terra e rapidi ritorni in assetto da gara da soli. Quanto alla “cieca che fa i duecento metri in pista”, credo si riferisca alla signora Minetti, Le ricordo che detto “personaggino alla DeAmicis” (ma le sta sulle palle anche l’Edmondo?) ha lavorato nella moda, è stata cantante di un certo successo (festival di San Remo), è diplomata ragioniera (come Lei, rag. Imbranatozzi) ed è mamma: non male, crede?

Lo spettacolo erano gli atleti stessi e il loro impegno: non ci vuole molto a capire che nel caso delle Paraolimpiadi lo spettacolo è un pretesto per eliminare le barriere sociali che rendono difficile la vita ad una fetta di Suoi concittadini (noi umili sfigati) e insegnare che nella società c’è posto per tutti, disabili inclusi: se non l’ha capito allora è proprio Lei da compatire!

Probabilmente a caratterizzare certi suoi imbarazzanti atteggiamenti, disistimato Rag. Bacherozzi, è una mal celata e pelosissima compassione, un pietismo tanto inopportuno quanto pesantemente offensivo derivato dalla falsa e odiosa convinzione che la vita di un uomo o di una donna con handicap debba per forza essere triste, insoddisfacente, misera, grigia e quasi sprecata. Una vita priva di tutto ciò che invece un uomo dovrebbe considerare costitutivo della propria felicità: indipendenza, stimoli, vita sociale, carisma, attrattiva, bellezza, successo lavorativo, sportivo e sentimentale, competenza professionale. Per fortuna non è così. sennò saremmo tutti come Lei, il vero Fantozzi.

Un’ultima annotazione, Rag. Pupazzi: come ha fatto Lei, il patrono di tutti gli sfigati d’Italia, a precipitare in banalità del genere? Lei che ha sempre “cavalcato” sfigati in TV, nei libri e al cinema? Si è mai chiesto cosa avrebbero pensato delle sue esternazioni i tanti perdenti che, bisognosi di conforto, riempivano i cinema facendo di Lei un riccone?

Nietzsche scriveva che non c’è cosa peggiore della compassione perché, avendo noi compassione degli altri, ci eleviamo, ci sentiamo superiori rispetto a quelli messi peggio di noi. Se la sua è di tal tacca, allora, caro rag. Petolozzi, ce la risparmi: non ci servono parole né intinte nella vasellina né nel veleno né, meno di tutte, nella (sua) compassione: siamo in grado di arrangiarci senza!

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