Le «Parole invisibili» di Stefano Carnicelli danno voce alle famiglie dei bambini con autismo

Data: 31/03/23

Rivista: Aprile 2023

Categoria:Disagio e inclusione,Interviste,libri

Autore:  Martina Dei Cas

Scrivere è una passione, una liberazione e, a volte, anche una bellissima, necessaria e faticosa responsabilità. Quella di caricare nella propria penna e di portare a quante più persone possibili attraverso i libri le «Parole invisibili» di chi altrimenti – impegnato nella sfida quotidiana per la sopravvivenza – rischierebbe di finire ai margini del racconto e della vita sociale. Una «messa a disposizione» che lo scrittore aquilano Stefano Carnicelli, già autore dei romanzi «Il cielo capovolto» e «Il bosco senza tempo», ha raccolto in «Parole invisibili» (2019), opera che rievoca l’esperienza di sua cugina Loredana e del figlio Andrea, un ragazzo con autismo.

Come nasce «Parole invisibili»?
Dall’osservazione di una vicenda che mi ha toccato nel concreto, perché Lorenza del libro è in realtà Loredana, mia cugina, e Achille suo figlio Andrea, bambino autistico. Loredana, che purtroppo è scomparsa nel 2017 a soli 54 anni a seguito di un brutto male diagnosticato nel 2015, è stata fondamentale nella stesura del testo. Conservo ancora gelosamente gli appunti che lei buttava giù nei momenti di calma durante il suo lavoro di guardia medica.

Testo pubblicato nel 2019, ma ultimato già nel 2015, quando di autismo si parlava ancora poco…
Esatto, volevamo dare un segnale, perché le prime diagnosi erano scarne e imprecise. Loredana stessa, pur essendo medico, non veniva messa nelle condizioni di comprendere la realtà. Andrea dovette affrontare molte visite e accertamenti. Ci premeva far capire che l’autismo non è qualcosa da tenere nascosto né di cui vergognarsi, ma una situazione che va affrontata per far sì che anche le persone che lo hanno vivano una vita piena e appagante, non da emarginati.

Il libro è scritto a due voci, quella della mamma e quella del figlio che, pur non riuscendo a parlare, si esprime attraverso un ricco quadro di percezioni interiori. Quanto è stato difficile immedesimarsi?
Molto. Mia cugina ha messo in campo cure che prevedevano frequenti viaggi all’estero, in particolare in Francia, basate sul metodo ABA per ridurre le abitudini comportamentali sbagliate attraverso la costruzione di rituali comportamentali adattativi e una specifica dieta per facilitare lo smaltimento dei metalli pesanti. All’inizio era mia sorella che, da Parigi, ci spediva gli alimenti, perché qui non erano ancora in commercio. Racconto quindi una realtà italiana quasi primordiale quanto alla conoscenza dell’autismo. Anche nella scuola, non c’erano ancora insegnanti formati in materia e spesso ci si trovava costretti a improvvisare. Mia cugina faceva venire all’Aquila, a spese sue, una dottoressa da Firenze per insegnare ai docenti di sostegno come comportarsi.

Cosa ti ha colpito di più?
Ho portato spesso Andrea all’aria aperta. Ricordo con grande tenerezza che i bambini autistici hanno un gran bisogno di abbracci, tanto che c’è proprio una specifica tecnica per tranquillizzarli con questo nome. Il messaggio che voglio dare ai lettori è che non bisogna spaventarsi davanti a queste situazioni, ma accogliere le persone autistiche con la loro bella diversità.

Ci sono nuove opere in cantiere?
Sì, sto sviluppando un mio racconto dedicato al tema dell’inizio, che nella mia interpretazione è in realtà… l’inizio della fine.

Torniamo per un istante a «Parole invisibili». Un elemento centrale delle prime pagine del libro sono le difficoltà avute da Loredana nell’avere questo figlio tanto desiderato…
Sì, mia cugina ha tentato di tutto, diverse cure e anche la strada dell’adozione, poi abbandonata a causa delle lungaggini burocratiche. Diciamo che a volte il nostro Paese ci mette del suo per complicare la vita di chi già ne sta passando tante. Loredana però è stata aperta alla speranza fino alla fine. Proprio per questo, mi ha domandato di lasciare il romanzo com’era, senza dedicare neanche un capitolo alla sua malattia. Voleva che fosse una carezza, un invito all’ottimismo per le famiglie delle persone con autismo. Io, però, dopo la sua scomparsa percepivo il progetto editoriale come zoppo. Sentivo che mancava un collegamento, un ponte tra narrazione e realtà. Così, ho scritto il testo “Non c’è più tempo”, ispirato al libro e musicato da Massimo Germini, proprio per superare simbolicamente la morte e il tempo attraverso la forza della lirica.

 

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