L’importanza delle vaccinazioni

Correva l’anno 1956 quando in Italia scoppiò un’epidemia di poliomielite. Io non sono stata vaccinata e, purtroppo per me, il mio numero è stato estratto.

La malattia è provocata da un enterovirus altamente contagioso, che si trasmette per via orale, per esempio per ingestione di cibi o acque contaminate. Fortunatamente, in presenza di un sistema immunitario efficace, l’infezione risulta asintomatica, oppure provoca lievi disturbi gastrointestinali. Soprattutto nei bambini, che non hanno ancora sviluppato delle efficaci barriere immunitarie, il virus può migrare, attraverso il sangue, nel sistema nervoso centrale, dove colpisce, di preferenza, i centri motori. Per questo la malattia era anche chiamata “paralisi infantile”.

“Gli individui che sono esposti al virus, tramite infezione o tramite l’immunizzazione con il vaccino antipolio, sviluppano l’immunità” (https://it.wikipedia.org ).

In altre parole, tutti coloro che, in quello sfortunato 1956, mi circondavano, erano stati esposti alla malattia. Io, invece, ho avuto la “colpa” di essere ancora troppo piccola e indifesa. Indifesa a causa di una scelta sbagliata dei miei genitori o, quantomeno, della loro ignoranza del pericolo e della loro incapacità di utilizzare lo scudo vaccinale.

I vaccini antipolio hanno permesso, dal 1950 ad oggi, un abbattimento dalle centinaia di migliaia di casi l’anno, fino ai meno di mille attuali. Il traguardo sperato è la completa eradicazione, come già successo per il vaiolo. Ma in alcuni Paesi del mondo (Nigeria, Pakistan, Afghanistan) la polio è ancora una malattia endemica, e la facilità di spostamento che i mezzi di trasporto attuali ci assicurano non ci permette di abbassare la guardia.

Personalmente, ho avuto la fortuna di incrociare nel mio cammino la “Fondazione Pro Juventute Don Carlo Gnocchi” nei cui centri ho potuto usufruire delle cure necessarie alla patologia, delle protesi ortopediche e, soprattutto, della possibilità di un percorso scolastico e formativo per il raggiungimento di una dignitosa qualità della vita. E così, paradossalmente, la mia malattia è diventata il trampolino di partenza per un destino diverso, ma comunque ricco di eventi positivi.

E, fortunatamente, oggi esistono anche altre onlus sensibili alle problematiche dei molti che, per i motivi più diversi, presentano delle disabilità o altre forme di disagio sociale, e persone che in esse si impegnano esaltando la propria umanità.

 

Ma molte cose mi sono mancate.

Non ho potuto vivere, come nel diritto di ogni bambino, l’infanzia e l’adolescenza in famiglia, circondata dall’affetto dei genitori e fratelli, perché, a causa della loro impossibilità di curarmi ed assistermi, mi hanno mandato in collegio. 

Non ho mai potuto sognare di fare la ballerina o l’attrice, come tanto spesso sognano le ragazzine. Non ho mai fatto una bella corsa liberatrice in un prato, fino a restare senza fiato. 

Non mi sono mai comprata un bel paio di scarpe col tacco per recarmi in discoteca. 

Non ho mai calzato un paio di ciabatte per mettermi a giocare a pallone sulla spiaggia. 

Per la strada cammino a testa bassa perché devo porre attenzione a non inciampare nelle buche o sui marciapiedi dissestati. 

E non posso visitare musei e luoghi di cultura, se non provvisti di ascensore.

Col procedere del tempo, esiste anche la possibilità non remota, poiché riguarda quasi il 50% dei casi, di sviluppare la Sindrome Post Polio: debolezza muscolare, dolori agli arti inferiori per eccessiva sollecitazione, crampi. 

 

Ho voluto raccontare la mia esperienza per richiamare l’attenzione sull’importanza delle vaccinazioni, in un momento in cui il dibattito è assai sentito.

Personalmente penso che la scoperta dei vaccini sia una grande conquista per tutta l’umanità, alla quale non si può rinunciare, sia per il proprio benessere che per quello di tutta la comunità. Esiste, infatti, la cosiddetta “immunità di gregge”, ovvero il principio secondo il quale “nelle malattie infettive che vengono trasmesse da individuo a individuo, la catena dell’infezione può essere interrotta quando un gran numero di appartenenti alla popolazione sono immuni o meno suscettibili alla malattia. Quanto maggiore è la percentuale di individui che sono resistenti, minore è la probabilità che un individuo suscettibile entri in contatto con l’agente patogeno (es. virus). Se l’agente patogeno non trova soggetti recettivi disponibili circola meno, riducendo così il rischio complessivo nel gruppo.” (https://it.wikipedia.org).

Perciò vaccinarsi e vaccinare i propri figli vuol dire anche proteggere coloro che per vari motivi di salute non possono farlo. 

Anche questa è una forma di generosità: pensiamoci!

                                                                                                                                                                                                     Stella Diluiso

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