Viviamo in una società che biasima gli eccessi, e nessuno di ciò potrebbe mai meravigliarsi, viste le numerose conseguenze negative che l’esagerazione porta con sé. Eppure la stessa rete sociale che ammonisce e biasima, non si pone problemi quando sottobanco fornisce modelli ed incentivi posti al superamento di limiti e convenzioni. Ne è un esempio lo smodato uso di alcol, che da un lato viene sempre più demonizzato (come potrebbe essere altrimenti visti i numerosi incidenti e malattie alcol correlate che seguono l’eccessivo uso di bevande alcoliche) dall’altro viene venduto in sempre più luoghi, con sempre meno controlli, preparato in confezioni accattivanti e pubblicizzato da icone dello sport, della moda o della musica. E allora perché meravigliarsi se sempre più giovani ne fanno un così largo uso?
Posta la questione bisogna iniziare a fare le domande.
Credo si possa affermare si tratti di una questione sociologia. Non è ignota a nessuno l’enorme quantità di informazioni e messaggi a cui siamo sottoposti ogni giorno. Radio, televisione, internet sono ormai nelle case di tutti portando con loro la politica di mille partiti.
La società chiede ai giovani di non fare, ma permette che siano loro forniti modelli, entusiasti degli eccessi: osanniamo sport che prevedono macchine sfrecciare a 300 Km/h ed inneggiamo a film dove attori incredibilmente belli e romanticamente perfetti accendono la sigaretta al momento giusto, mentre la più affascinante ragazza della festa porge loro un liquore.
Nasce così da parte dei più giovani, non tanto l’emulazione, quanto la scoperta che il bere è un fatto sociologico. Per rapportarsi e conoscere gente si esce al bar la sera dove tutti si ritrovano, ed una volta li, visto che le cose da fare non sono molte si inizia a bere un drink, magari due.
A maggior ragione l’uso di cellulari. Nuova invenzione secolare. Macchine oramai capaci delle più grandi imprese tecnologiche e sempre più assuefacenti nella nostra vita quotidiana.
Venuta meno l’abitudine alla telefonata, scriviamo messaggi, e chi non ha un telefono mobile viene isolato da questo traffico di comunicazioni. Una società consumista che ci dice fin da piccoli: “se il tuo modello è vecchio buttalo!! Comprane uno nuovo e tra pochi mesi butta anche quello”.
Apparteniamo ad una generazione che non sa correre, lanciata in una società veloce. Quella che ci ha preceduto ha visto la guerra e la fame ed ha voluto vivere, servita dal modello capitalista, al di sopra delle proprie possibilità. Millantando la volontà di dare anche ai meno fortunati uguali diritti, non dicendo che, senza un radicale cambiamento culturale, un tale progresso tecnologico non è immaginabile per tutti. Ma è nostro ora il compito di prendere in mano le cose. Se non ci appartiene la colpa di quello che è stato o non stato fatto, non significa che non siamo ugualmente corresponsabili in questo tacito accordo che ci vede ben felici di adeguarci ai fatti.
Per queste ragioni è importante informarsi. Studiare non per arrivare a passare l’anno ma per essere preparati, in modo da poter controbattere colpo su colpo alle menzogne, alle false immagini, alle contraddizioni che ci vengono continuamente proposte. Non è facile sottrarsi a questa onda del divertimento spensierato, ma le statistiche vedono l’Italia come uno tra i paesi dove la libertà di stampa è talmente poco chiara da essere classificata al 40° posto, dopo Bulgaria e Corea del sud, e se non saremo noi a fare il primo passo, non potremmo mai essere realmente liberi.
Fermare la diffusione del sapere è uno strumento di controllo per il potere perché conoscere è saper leggere, interpretare, verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti fa dubitare. Soprattutto del potere. Di ogni potere. frase da la Repubblica, 13 giugno 2004, Dario Fo