Lo scorso dicembre si è tenuto a villa San Ignazio sopra Trento un seminario dal titolo “Scopri il disagio nascosto” nell’ambito della terza edizione trentina del “Redattore Sociale”. Ideatori e promotori dell’appuntamento il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) in collaborazione con l’Ordine Regionale di Giornalisti, l’Unione Sindacale Giornalisti Rai (UsigRai), la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI).
Ne parliamo, pur se sono ormai passati due mesi, perché il tema trattato era davvero importante e perfettamente attinente con i temi propri di questo giornale. Scopri il disagio nascosto voleva infatti essere un’esortazione rivolta a più soggetti, giornalisti, operatori sociali e cittadini comuni perché prestino più attenzione alle nuove forme di disagio specie quello giovanile e al modo in cui i media trattano la cronaca che li riguarda.
Due le aree di discussione previste dal seminario, una incentrata sui nuovi allarmi sociali quali anoressia e bulimia, droghe e violenze sui bambini e l’altra su come i media trasformano in cronaca vicende che vedono coinvolte persone deboli e indifese quali minori, tossicodipendenti, immigrati, carcerati, prostitute.
Infatti, nonostante la carta di Treviso e la legge sulla privacy, quando i media riportano fatti di cronaca che hanno per protagonisti questi soggetti, spesso nei loro articoli ne pubblicano nomi e cognomi, si lasciano andare a luoghi comuni e commenti superflui, rivelano particolari estremamente riservati e soprattutto, non fanno nulla per spiegare al lettore le dinamiche magari poco interessanti che sono dietro il fatto.
Da qui l’esigenza del redattore sociale poiché, se davvero la società ha bisogno di essere raccontata nei suoi svolgimenti, nella sua complessità e nei suoi drammi, il giornalista ha bisogno a sua volta di essere contaminato dal sociale fino ad assumerne aspettative e linguaggi.
Di questo e degli altri temi trattati parliamo con Fulvio Gardumi che del convegno è stato presidente.
Perché il “Redattore sociale”?
«Redattore sociale è un’agenzia giornalistica ideata nel ’94 dalla comunità di Capodarco (AP). Promuove ogni anno un convegno nazionale attorno ad un tema diverso. Quello di quest’anno era: Nebbia: che fine hanno fatto le notizie. L’agenzia seleziona ogni giorno notizie su argomenti suddivisi in 11 macroaree e 73 aree e le mette in rete accompagnate da schede e statistiche, approfondimenti, profili di associazioni, link con siti del settore… Tre anni fa l’iniziativa è stata portata in Trentino dalla sezione regionale del CNCA: la prima edizione fu ospitata a palazzo Geremia, la seconda a palazzo Trentini col titolo: Profeti di paura, ossia su come giornali e Mass media creino allarme sociale ingigantendo ed enfatizzando fatti di cronaca nera e la terza appunto a villa San Ignazio. Lo scopo è quello di far incontrare operatori del sociale e giornalisti, di spingerli a confrontarsi su tematiche ogni anno diverse e superare diffidenze reciproche».
I giornali spesso pubblicano le iniziali, a volte i nomi altre tralasciano del tutto. Tutto a discrezione del giornalista?
«No. Spesso sono le stesse fonti che non danno il nome o danno solo le iniziali. Nei fatti di cronaca nera i carabinieri a volte danno le iniziali, a volte i nomi, a volte niente. Il giornalista però arriva spesso a conoscere nomi e cognomi percorrendo altre strade. Per quanto riguarda la cronaca giudiziaria ci sono delle regole: normalmente le iniziali vengono date quando c’è un arresto ma non una denuncia a piede libero. In questo caso la certezza del reato contestato è tutta da verificare e fare il nome diventa rischioso perché potrebbe trattarsi di una persona del tutto estranea al fatto contestato.
Nel caso di arresto invece si dà per scontata una maggiore certezza del reato e quindi si dà nome e cognome. Tuttavia se l’arrestato è un soggetto debole, un minore, una persone con disagio psichico, sociale o esistenziale, prevale l’idea di non fare nomi. Prendiamo, ad esempio, il caso dei pedofili: c’è chi è favorevole a renderne pubblici i nomi in modo che i genitori possano stare attenti e chi preferisce tenerli nascosti. Certamente bisogna fare in modo che non si possa risalire ai minori coinvolti, non devono essere assolutamente conosciuti specie in presenza di violenze sessuali. Devo dire che questo purtroppo non viene sempre rispettato».
Chi si sente diffamata può ricorrere al diritto di rettifica?
«Per legge la rettifica va pubblicata entro tre giorni dalla pubblicazione della notizia ritenuta errata o offensiva nella stessa pagina e con lo stesso rilievo ma questa regola non viene quasi mai rispettata. Chi si vede respinta la richiesta di rettifica può ricorrere alla magistratura: questa se riconoscerà fondata la lamentela, ne imporrà al giornale la pubblicazione. Negli ultimi anni purtroppo si è andata diffondendo la moda americana di chiedere ai giornali risarcimenti miliardari con il conseguente rischio che i giornali facciano i deboli con i forti e i forti con i deboli. In altre parole con chi non è in grado, per soldi, cultura, disagio sociale o tempo, di portare avanti cause si può scrivere quello che si vuole mentre con i potenti pronti coi loro avvocati a chiedere miliardi di danni, si evita di scendere troppo nei particolari: questo è un grande rischio per la libertà di stampa.»
Sembra la vicenda della presunta violenza subita una decina d’anni fa da un noto clochard di Trento…
«Mi ricordo bene di quella vicenda perché io e altri giornalisti ci trovammo d’accordo nel denunciare l’inammissibilità di quel modo di fare informazione: in quell’articolo c’erano tutte le caratteristiche sul come non si fa una notizia. Scrivemmo una lettera molto ferma al quotidiano Alto Adige ed il direttore di allora Franco de Battaglia ci rispose dandoci ragione e chiedendo scusa ai lettori.»
Una ricerca del’99 sulla stampa nazionale ha rilevato che lo spazio dedicato dai quotidiani a notizie sul disagio è minimo: tra 0,1 e 2,7% del totale…
«È così. Una parte di opinione pubblica considera queste come notizie di scarso rilievo, inutili, sgradevoli se non fastidiose. Di conseguenza i giornali che ad essa si rivolgono si limitano a riportare i casi eclatanti e l’aspetto che fa rumore tralasciando quanto sta dietro. Da qui la scelta per questa edizione del “Redattore sociale” il tema: Scopri il disagio nascosto. “Scopri” nel senso che dietro molti fatti di cronaca ci sono situazioni di disagio sconosciute ai più, che probabilmente ai lettori non interessa nemmeno conoscere e che il giornalista non si impegna ad approfondire in quanto le ritiene poco interessanti.»
Dietro l’urlare notizie c’è anche un problema di concorrenza tra giornali?
«Senza dubbio la concorrenza è micidiale! Capita frequentemente che se un quotidiano fa un buco rispetto ad un altro, cioè non riporta la notizia di un fatto di cronaca data invece dall’altro, il giorno seguente tenta di recuperare lo smacco informativo pubblicando più o meno intenzionalmente circostanze che avrebbe dovuto tacere per il rispetto delle persone, per non parlare della qualità e completezza dell’informazione. Il rischio di distorcere l’informazione è gravissimo.»
Come si comporta invece un redattore sociale?
«Approfondisce non tanto le dimensioni del singolo caso quanto i problemi che stanno dietro in generale. Facciamo l’esempio: parlando di anoressia o bulimia i media tendono a mettere sempre la solita foto o il filmato di modelle anoressiche, le presentano come ragazze disposte a tutto pur di imitare le top model della televisione, belle e magre mentre in realtà sappiamo che dietro ci sono ben altri disagi, dalle incertezze nel trovare una propria identità alla mancanza di autostima, da problemi familiari a tutta un’altra serie di difficoltà da non banalizzare in alcun modo. Prima di affrontare questi temi un giornalista dovrebbe confrontarsi con operatori sociali di settore e non a caso il direttore della testata “Redattore sociale” ci ha invitati ad accompagnare i fatti di cronaca con schede ed informazioni supplementari per aiutare il lettore a contestualizzare il fatto. Certo non si può pretendere che ad ogni notizia di cronaca facciamo seguire il pistolotto perché l’informazione ha le sue regole… deve essere sintetica.»