“Lo scafandro e la farfalla”

Data: 01/04/08

Rivista: aprile 2008

Julian Schnabel, regista newyorkese de “Lo scafandro e la farfalla” (uscito nelle sale italiane in febbraio 2008) ha vinto il premio per il miglior regista a Cannes nel 2007. Schnabel ha realizzato una versione cinematografica del romanzo omonimo ed autobiografico “Le scaphandre et le papillon” scritto da Jean-Dominique Bauby, protagonista di questo film. Il libro cui si ispira fu pubblicato nel 1997 alcune settimane dopo la morte di Bauby, avvenuta in seguito ad un arresto cardiaco all’età di 45 anni.

La storia è ambientata nell’ospedale a Berk-sur-Mer con qualche flash-back sulla sua vita lavorativa e familiare e sui ricordi che pian piano affiorano nella sua testa. Jean-Do, separato con due figli, giornalista e capo redattore della rivista “Elle”, rimase disabile nel 1995 in seguito ad un ictus che lo colpì mentre era in macchina col figlio. Una sindrome rara (termine tecnico “locked-in sindrome”) che prima lo trascinò in un coma profondo e poi lo rese immobile. L’unica parte del corpo che riusciva a muovere era la palpebra sinistra. La sua mente, nonostante le sue condizioni, rimase completamente lucida e consapevole.

Malgrado ciò, dopo le numerose sollecitazioni delle assistenti cui era stato affidato in ospedale, imparò a comunicare con le persone mediante l’uso della palpebra sinistra, l’unica che riusciva a muovere. Con un battito di ciglio fermava il suo interlocutore su una lettera dell’alfabeto che gli era recitato secondo l’ordine di frequenza della lingua francese (E, S, A, R, I, N, T, U, L…). Con questa tecnica poteva dettare, parola per parola, i pensieri custoditi nella sua mente.

“Lo scafandro e la farfalla” costringe lo spettatore a guardare non “alla” malattia, ma “dalla” malattia, utilizzando un’ottica particolare, diversa da altri film. Fa vedere quello che Bauby ha visto e le sensazioni che ha provato all’uscita da un coma durato tre settimane.

Il risveglio, tra momenti di lucidità ed incoscienza, è lungo e sofferto. Il regista riesce a farci partecipi, quasi in prima persona, di questi momenti, sfuocando le immagini proiettate sullo schermo: ombre di persone, suoni appena accennati, ambiente sfumato. Ogni tanto, come un flash, irrompe nel film uno scafandro immerso nell’acqua: è la visione che Jean-Do ha di sé.

Il titolo del film, “Lo scafandro e la farfalla”, suggerisce lo stato d’animo di Jean-Do: l’uno imprigiona, l’altra “vola” in libertà. Il dualismo è quello tra corpo e anima. Ostaggio nel primo e libero nel secondo, Bauby scopre nell’immaginazione e nei ricordi un nuovo modo di afferrare e percepire il reale. Anche il battito delle sue ciglia ricorda il battito delle ali di una farfalla, mentre il suo corpo è immobile.

È un film particolare nel suo genere, degno di essere visto con attenzione. Il tipo di narrazione scelto da Schnabel fa sì che la storia di Jean-Do coinvolga ogni spettatore, anche il più scettico.

precedente

successivo