Maruo Camin dal 2016 presta consulenze fisiatriche presso l’A.T.S.M. Centro Franca Martini. Con lei abbiamo intrattenuto una lunga e dettagliata conversazione circa lo stato della ricerca sulla sclerosi multipla, che negli anni si è molto sviluppato. Vi offriamo qui quel che ha condiviso con noi.
Il centro è molto piccolo ma è organizzato sul lavoro di un’équipe multiprofessionale: ciò permette un approccio di tipo integrato alla disabilità. I pazienti vi si rivolgono quando hanno già una diagnosi. Ciò significa che la terapia farmacologica è già stata impostata e viene seguita nel tempo da un neurologo di riferimento. Il compito del centro è quello di esplorare i vari ambiti del vivere quotidiano su cui la disabilità influisce.
La sclerosi multipla è una patologia ad eziologia ignota, su base infiammatoria, mediata da meccanismi di tipo autoimmune che inducono lesioni a carico del sistema nervoso centrale. Essa rappresenta la più comune causa non traumatica di disabilità nei giovani adulti. Il quadro clinico è estremamente complesso, e il decorso per lo più imprevedibile è caratterizzato da un andamento cronico e progressivamente invalidante. Proprio per queste sue caratteristiche, la sclerosi multipla impone al paziente un continuo adattamento emotivo. Nell’ambito dell’approccio integrato alla disabilità che il centro si propone viene valutato l’impatto psicologico della patologia, così come le risorse psicologiche e sociali che possono favorire il processo di adattamento e migliorare la qualità della vita.
Sebbene non esista una cura risolutiva, il grande sviluppo della ricerca in campo farmacologico ha permesso di selezionare nel tempo molti farmaci in grado di modificare il decorso della patologia. La grande maggioranza di questi si è dimostrata efficace nelle forme a decorso recidivante-remittente, mentre per le forme progressive le opzioni terapeutiche sono tuttora limitate. Ocrelizumab è stato recentemente approvato per le forme primariamente progressive grazie all’efficacia dimostrata negli studi clinici.
Gli esperti concordano sulla necessità di un inizio precoce della terapia. Gli studi anatomo-patologici e di neuroimaging evidenziano come in una fase iniziale il meccanismo di danno assonale sia principalmente su base infiammatoria, mentre nelle fasi avanzate sarebbero coinvolti altri meccanismi, almeno in parte indipendenti dal processo infiammatorio. Dal momento che i farmaci attualmente sul mercato sono in grado di influenzare la componente infiammatoria del processo patologico, ma non di contrastare efficacemente la neurodegenerazione che predomina nelle fasi più avanzate, è di vitale importanza sfruttare la finestra terapeutica rappresentata proprio dalla fase precoce.
La disponibilità di farmaci con diversi meccanismi di azione, efficacia, sicurezza, tollerabilità e la possibilità di monitorare da un punto di vista clinico e radiologico la sicurezza del trattamento hanno portato a nuovi paradigmi terapeutici. Da un lato, il classico approccio a scalare (escalating) prevede l’iniziale uso di un farmaco di prima linea (IFNβ, glatiramer acetato, teriflunomide, dimetilfumarato) con un profilo di sicurezza più elevato ed efficacia moderata e l’eventuale passaggio ad un farmaco di seconda e terza linea (Natalizumab, Fingolimod, Ocrelizumab) di maggior efficacia ma minor sicurezza in termini di effetti collaterali e possibili rischi, in caso di scarsa risposta alla terapia. Tale approccio può essere in grado di contenere l’attività di malattia nei pazienti con grado di attività lieve o moderato. Dall’altro, un approccio induttivo (induction) permette, mediante un’intensa ma breve immunosoppressione selettiva (Cladribina) o non selettiva (Alemtuzumab, mitoxantrone) indotta da farmaci o da trapianto di cellule staminali ematopoietiche, di resettare il sistema immunitario. Tale approccio può essere indicato nei pazienti in cui la malattia mostra maggior aggressività fin dall’esordio, al fine di ottenere una rapida remissione a fronte di maggiori rischi ed eventi avversi.
Anche gli obiettivi terapeutici sono cambiati rispetto al passato. Mentre un tempo venivano considerate solamente la prevenzione delle recidive e la progressione della disabilità, oggi l’obiettivo è l’assenza di attività di malattia, secondo un criterio clinico (ricadute, progressione della disabilità) e radiologico (assenza di nuove lesioni o lesioni captanti gadolinio). Il processo decisionale resta estremamente complesso; la terapia deve essere il più possibile “personalizzata” anche attraverso l’identificazione di biomarcatori prognostici validi e affidabili da affiancare ai dati clinici e radiologici attualmente disponibili.
Da un punto di vista riabilitativo, molti sono gli approcci innovativi, che vanno dall’utilizzo della robotica a quello della stimolazione transcranica ripetitiva. È abbastanza recente uno studio italiano che accoppia la stimolazione transcranica ripetitiva H-coil alla fisioterapia per il trattamento di alterazioni del cammino in pazienti con sclerosi multipla. Il razionale sta nell’indirizzare, tramite il trattamento FKT, la plasticità sinaptica che la stimolazione magnetica induce.
Ci sono poi altri ambiti meno esplorati come il ruolo dell’intestino e dell’alimentazione. In questi ultimi anni si sono moltiplicati gli studi sul microbiota in relazione a varie condizioni patologiche e studi sulla permeabilità intestinale che riconosce all’integrità della mucosa enterica un ruolo fondamentale per il buon funzionamento del sistema immunitario.
Personalmente, sono convinta che la terapia farmacologica abbia una grande importanza. Credo anche però che ci siano molti altri ambiti su cui intervenire. Pur nella mia limitata esperienza, mi sono resa conto dell’importanza dello stile di vita, dello stato psicologico ed emotivo e della partecipazione alla vita sociale del paziente. Per me questi fattori sono di primaria importanza non solo perché di grande impatto sulla percezione di benessere, ma anche perché prevedono un ruolo attivo della persona nel gestire aspetti correlati alla propria patologia. Uno degli aspetti più invalidanti è la perdita del proprio ruolo sociale e con esso di parte della propria identità. Per questo poter fin dall’esordio affiancare e sostenere la persona anche negli aspetti psicologici ed emotivi è di grande importanza. Molte volte il più grande ostacolo non è la disabilità in sé ma la difficoltà di riconoscersi e di accettare la patologia. Da un lato la diagnosi molto precoce permette interventi farmacologici più efficaci, dall’altro pone la persona davanti allo spettro della disabilità quando ha veramente pochi sintomi, o magari nessuno. L’incertezza rispetto al futuro che questa diagnosi porta con sé è sicuramente un peso che grava a lungo sulla persona e sui suoi familiari. Per questo motivo, credo, negli ultimi anni, si è rivalutata e compresa la fondamentale importanza di un approccio integrato e multidisciplinare alla persona con sclerosi multipla che tenga conto non solo degli aspetti clinici ma anche di quelli psicologici e relazionali.