Una periferia parigina che ospita soprattutto immigrati e minoranze, semidistrutta dalle fiamme, è l’ambientazione; se in più le problematiche sollevate sono l’emarginazione e l’assenza di integrazione tra la città e le banlieue e i suoi abitanti, i nostri pensieri non possono che andare alla cronaca arrivata dalla Francia negli ultimi mesi. Ma questo film, vincitore del Premio per la regia al Festival di Cannes, è uscito nelle sale cinematografiche già nel lontano 1995, più di dieci anni fa.
A Muguet, periferia a 30 Chilometri da Parigi, scoppiano gravi scontri tra la polizia e gli abitanti del quartiere dopo il brutale pestaggio di un sedicenne, Abdel, da parte di un ispettore.
“L’odio”, scritto e diretto dal regista ed attore Mathieu Kassovitz, è la giornata di tre amici, Said, Vinz e Hubert, il giorno seguente agli scontri, ma l’odio è anche e soprattutto il sentimento, chiaramente ricambiato, che scorre tra le forze dell’ordine e gli abitanti della banlieue.
La pellicola in bianco e nero racconta scorci di vita dei protagonisti, giovani senza lavoro né futuro, rappresentanti ideali di ciò che la società tende ad emarginare e dimenticare: un arabo immigrato, un ebreo e un nero, circondati da piccole illegalità, da regole e comportamenti propri.
Il film è nato dalla volontà di denunciare la brutalità della polizia e descrive attraverso i tre ragazzi le possibili reazioni ad una situazione apparentemente senza sbocchi: se l’impulsivo Vinz vorrebbe cercare vendetta per l’amico Abdel, Hubert è consapevole che “l’odio chiama l’odio”.
La maestria con cui Kassovitz usa la macchina da presa, i tragici episodi di una realtà desolata accostati a momenti che rasentano una svagata comicità, il linguaggio veloce e gergale portano avanti con forza ed energia il film, fino ad un finale inquietante.